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La magia del Monte Amiata svela un’altra grotta delle fate

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L’Amiata, montagna delle fate e delle erbe di cura e di magia.

Fonte: Il Tirreno, Cronaca di Grosseto

Autore: Fiora Bonelli

Le fate, si dice, abitavano qui, in tante grotte del Monte Amiata. E dopo quella di Montelaterone gli speleologi e gli appassionati le vogliono mappare tutte. Così Gianni Cannavale, che già ha trovato la buca di Montelaterone, insieme a Gabriele Proietti è andato a Salaiola (frazione di Arcidosso) perché anche qui c’è una buca delle fate, proprio di fronte a quella montelateronese. I due esploratori, che ne avevano sentito parlare dalle memorie di anziani del luogo, l’hanno trovata crollata: eppure è proprio quella che secondo le tradizioni popolari ospitava le magiche creature dei boschi e soprattutto delle rocce. Più in alto, però, Cannavale e Proietti in una falesia hanno scovato un’altra “tana”, raggiunta da una frana nella parte inferiore, ma ancora visibilissima. Però la scoperta principale di questa ricognizione avvenuta pochi giorni fa è un terzo cunicolo, questo sì, ancora percorribile. Se ne sa anche il nome, legato alla tradizione carolingia, che però ancora non può essere svelato, perché domenica prossima il sito sarà meta della società speleologica maremmana che lo esplorerà per vedere se contiene qualche reperto interessante: «Si tratta – spiega Cannavale – di un tunnel a cui si accede da una porta rettangolare, perfettamente squadrata e che si sviluppa per circa sette metri e finisce con una spaccatura nella roccia che però è troppo stretta per poterla percorrere. Domenica ci sarà una spedizione speleologica per cominciare a capire se possa aver avuto un utilizzo in tempo storico o preistorico. Ma sicuramente, secondo anche alcune memorie che abbiamo raccolto, era usata come rifugio antibombe in tempo di guerra e forse anche come nascondiglio di materiale post bellico». I nomi delle grotte e dei sassi di cui l’Amiata è ricca sono legati, spesso, a personaggi del ciclo di leggende bretoni e carolinge: la grotta di Mago Merlino ad Arcidosso, il sasso di Orlando, la città di Ginevra a Roccalbegna sepolta e scomparsa e le fate, appunto. Le indicazioni toponomastiche che richiamano ai personaggi vicini all’età di Carlo Magno e dei suoi paladini o di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda, sono senz’altro da ricollegarsi a un contesto storico, che è quello del soggiorno in Amiata di Carlo Magno, l’imperatore del Sacro Romano Impero, che passando con il suo esercito nella montagna incantata soggiornò presso i monaci dell’Abbazia di San Salvatore, come ricorda fra l’altro Papa Pio II Piccolomini nei suoi Commentari quattrocenteschi. L’imperatore, pare, imparò a conoscere anche erbe curative impiegate dai monaci per guarire alcune malattie, e una di queste erbe, diventata leggendaria, è la cosiddetta erba “scalina o carlina”, il cardo selvatico che Carlo appunto (da cui l’erba prese il nome di Carlina o Scarlina) utilizzò per curare alcuni suoi soldati che avevano preso la peste. Dunque erbe, sassi e grotte, descrivono e alludono a un’epoca che ha lasciato tracce nella toponomastica e nell’immaginario collettivo: «Si tratta di seguire e descrivere un itinerario magico e incantato – commenta Cannavale – utile a scoprire il territorio ma anche a riscoprire la sua storia e le sue leggende».