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«Green Italy» per battere la crisi

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Le indagini di Symbola-Unioncamere. Il 38% delle assunzioni complessive riguarda figure professionali legate alla sostenibilità

Un’impresa su 4 negli ultimi 3 anni ha investito per avere minore consumo o impatto ambientale

Fonte: Il Sole24ore

Autore: Francesca Biffi

 

In Calabria c’è un’azienda, la Ecoplan, che produce pannelli per i più svariati usi: dall’edilizia ai trasporti, dall’arredamento agli allestimenti fieristici, usando gli scarti della lavorazione delle olive e della plastica. In Toscana, a Terranova Bracciolini, la Power One, è oggi la seconda azienda al mondo nel settore degli inverter fotovoltaici, esporta il 50% dei prodotti e copre il 15% del mercato globale. Sempre in Toscana, a Montepulciano, c’è una casa vinicola la Salcheto che produce meravigliosi vini a impatto zero. La cantina, infatti, grazie a una serie di soluzioni di edilizia sostenibile e a sistemi produttivi attenti al risparmio energetico produce vino carbon free.
In Lombardia, la Valcucine è la prima azienda in Italia nel settore cucine a ottenere la certificazione ambientale Iso 14001: 175 addetti, 40 milioni di fatturato, il 40% di export in tutta Europa, Usa, e poi principalmente Russia, Cina e Corea – ha adottato un’ampia rosa di misure per ridurre il proprio impatto ambientale. In Romagna, c’è una fabbrica che produce candele, la Cereria Terenzi, che ha scelto di puntare tutto sulla qualità, sulla tradizione, sul capitale umano e sull’ambiente, e oggi esporta le sue bellissime, profumate ed ecologiche candele anche in Cina. In Sardegna, il petrolchimico di Porto Torres, si è riconvertito alla chimica verde grazie all’accordo fra Eni e Novamont, l’azienda che ha inventato il mater-bi la plastica vegetale derivata dal mais. O ancora in Umbria il Gruppo Angelantoni è l’unico produttore al mondo di tubi a sali fusi per centrali solari termodinamiche, una straordinaria innovazione tecnologica made in Italy, che probabilmente rappresenterà un decisivo passo avanti nella produzione di energia dal sole, abbattendo i costi e consentendo di accumulare l’energia anche quando il sole non c’è. In Sardegna c’è anche l’Edilana, un’azienda che è riuscita a trasformare un rifiuto speciale in una risorsa: dallo scarto della lavorazione della lana nascono, infatti, pannelli isolanti, termici e acustici, per l’edilizia. Oppure c’è il caso vincente di Comieco, il Consorzio nazionale per il recupero e il riciclo degli imballaggi a base cellulosica, che ha dato un forte contributo allo sviluppo della raccolta differenziata riuscendo in vent’anni a far diventare l’Italia un Paese esportatore netto di carta da macero, con un export che ha sfiorato il milione e mezzo di tonnellate. E c’è anche nel distretto delle ceramiche di Sassuolo, la Casalgrande Padana, un’azienda che ha saputo contrastare la drammatica crisi del settore della ceramica puntando tutto su innovazione e ricerca: loro le piastrelle antibatteriche, l’unico materiale ceramico in grado di abbattere al 99,9 per cento i quattro principali ceppi batterici rinvenibili in bagni, piscine e luoghi pubblici. Ma c’è anche, nelle Marche, la Revolution, l’azienda di Porto San Giorgio che con il Pet riciclato realizza gli arredi e gli scaffali per i supermercati e la grande distribuzione.
C’è un legame tanto forte quanto invisibile che unisce tutte queste storie, ma anche molte altre, che attraversano l’Italia da Nord a Sud, raccontate nel libro Green Italy di Ermete Realacci (vedi scheda). Sono storie di persone e di talenti, di alleanze tra imprese e comunità, di unione fra ambiente e modi di vivere, capaci di traghettare l’Italia verso un paese più desiderabile. È una fotografia di gruppo di un’Italia che ce la può fare, se persegue con convinzione la riconversione ecologica dell’economia, dei consumi e degli stili di vita, scommettendo su una green economy tricolore, che sposa i saperi e le vocazioni nazionali. Sono storie che tengono insieme le tradizioni secolari con l’elettronica e la meccanica di precisione, che puntano su ricerca e conoscenza per produrre un’economia più sostenibile e avanzata, che aprono ai mercati globali e rinsaldano i legami con il territorio, che legano la competizione alla cura della coesione sociale, del capitale umano e dei diritti dei lavoratori. Storie di persone che uniscono alla testarda ostinazione sulla qualità artigianale dei prodotti la bellezza e l’hi-tech e che pensano che una maggiore qualità della vita non può che essere associata a un minore impatto sull’ambiente. E che non si può competere con le economie emergenti su campi da gioco che non sono i nostri, indebolendo i diritti e le regole ambientali, o addirittura strizzando l’occhio all’illegalità, all’abusivismo e all’evasione fiscale.
Tutto questo appartiene a un’Italia che già esiste e ha un cuore verde che pulsa, dinamico e vigoroso. Secondo un’indagine sulla green economy realizzata da Symbola e Unioncamere, già oggi la nostra economia è molto più verde di quanto si possa immaginare. Perché, come abbiamo visto, non parliamo di un settore legato esclusivamente ai comparti tradizionalmente ambientali – come per esempio il risparmio energetico, le fonti rinnovabili o il riciclo dei rifiuti -, ma di un vero e proprio "filo verde", che attraversa e innova anche i settori più maturi. La peculiarità della green economy italiana sta, infatti, proprio nella riconversione in chiave ecosostenibile dei comparti tradizionali dell’industria italiana di punta.
Nell’indagine, dunque, si evidenzia come la profondità degli effetti della crisi ha posto l’intero sistema di fronte alla necessità di un radicale ripensamento del proprio modello di sviluppo tanto che quasi un’impresa su quattro, il 23,9% del totale, ha realizzato negli ultimi tre anni, investimenti in prodotti e tecnologie che assicurano un maggior risparmio energetico o un minor impatto ambientale. Parliamo di circa 370mila imprese, 150mila industriali e quasi 220mila dei servizi, che come se non bastasse, creano occupazione: ben il 38% delle assunzioni è per figure professionali legate alla sostenibilità. Si tratta di più di 220mila assunzioni sul totale di quasi 600mila previste dalle imprese nell’ultimo anno. Di queste circa la metà, 97.600 assunzioni, sono legate a professioni green in senso stretto (legate agli ambiti delle energie rinnovabili, gestione delle acque e rifiuti, tutela dell’ambiente, green mobilities, green building ed efficienza energetica). Inoltre un terzo delle imprese che investono in tecnologie green vantano una presenza sui mercati esteri (34,8%), quota quasi doppia rispetto a quella rilevata per le imprese che non puntano sulla sostenibilità ambientale (meno di due su cinque, pari al 18,6%). Una proiezione internazionale sostenuta anche dalla capacità innovativa, indispensabile per anticipare la concorrenza o per crearsi originali nicchie di qualità all’interno della domanda mondiale.