Anche a non essere interessati alle positive conseguenze ambientali, e sanitarie, del Piano e alla sua adesione agli obiettivi Ue il 20% di emissioni di anidride carbonica tagliate entro il 2020 in virtù del risparmio del 20% di combustibili fossili – è proprio sull’aspetto occupazionale che si raggiungerebbero risultati mai conseguibili, anche rispetto ai settori produttivi coinvolti, con altro tipo di investimenti (come quelli alla Passera per capirci): un milione e seicentomila unità lavorative annue attivate sul decennio a fronte di un investimento pubblico di complessivi 16,7 miliardi di euro. Sarebbe colpevole e autolesionistica omissione se sindacati e Confindustria non mettessero quel Piano sul tavolo
Un patto «verde» nel nome di Keynes
Il fallimento sempre più evidente delle politiche di austerity imposte a Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna prolunga quelli conseguiti negli ultimi vent’anni dal Fondo monetario internazionale all’insegna del neoliberismo – deregulation e feroci tagli alla spesa pubblica – negli interventi «a favore» dei Paesi in via di sviluppo, e qui in Italia assistiamo alle reazioni preoccupate di Confindustria nei confronti della ricetta del tardo-liberista Monti. La «macelleria sociale» evocata da Squinzi in mezzo a clamori e polemiche ha alle sue spalle lo stato comatoso dell’ economia italiana, in particolare dell’industria manifatturiera. E l’attacco del premier alla concertazione non è davvero ignoranza della storia del Paese degli ultimi vent’anni, ma appare piuttosto il lucido annuncio di una politica deflattiva contro i lavoratori. Cioè, altra recessione.
Ormai comincia a essere ampio il fronte di lavoratori e imprenditori che reputano le politiche di austerity generatrici soltanto di recessione. E, sulla scorta dei vari Stiglitz o Krugman, ricompare Keynes e la sua laudatio del debito pubblico «buono»: per rilanciare la crescita lo strumento fondamentale restano gli investimenti a carico dello Stato. Il rapporto tra economia e democrazia ridiventa un tema di grandissima rilevanza, mentre la «regressione» del lavoro – la sua perdita di peso sociale e politico, la riduzione dell’occupazione- viene riconosciuta come causa stessa della crisi. In un contesto dove, peraltro, non c’è alternativa alla difesa dell’euro; i piani B di uscita dall’euro, che populismi di destra e di sinistra propongono, corrispondono a esiti sociali sanguinosi quanto quelli delle politiche deftattive nella testa di Monti, allo sbriciolamento della residua coesione sociale, alla rinuncia disastrosa a quell’Europa politica che resta pur sempre un grande riferimento di generazioni passate, presenti e future.
Nell’agitarsi di queste idee stupisce lo scarso spazio dedicato dagli economisti – anche nella recente giornata sul «programma per l’alternativa» promossa dall’ Associazione per il Rinnovamento della Sinistra e dalla Fondazione Di Vittorio – al tema della riconversione ecologica dell’economia, se non in termini di una maggior attenzione alla domanda. Eppure la riconversione resta una risposta fondamentale all’attuale crisi di sovrapproduzione capitalistica e al nuovo carattere, che la globalizzazione le conferisce, di impossibilità della crescita della domanda di adeguarsi alla crescita dell’offerta. La lenta tartaruga non raggiungerà il piè veloce Achille, mentre la crisi ambientale, segnata dai drastici cambiamenti dovuti al passaggio all’instabilità climatica, annuncia inesorabile il «time over» per ogni risposta economica tradizionale, anche neo-keynesiana.
Su questo ritardo della cultura economica della sinistra, a destra neanche a parlarne, abbiamo almeno vent’anni di mancato ascolto. Sarebbe però inaccettabile, nel momento in cui si palesa almeno in Italia la plausibilità di un «patto» tra imprenditori e lavoratori contro la recessione, che sul terreno dei programmi concreti ognuno tirasse fuori le sue ricette gelosamente elaborate e custodite, a rischio di incomprensioni e perdite di tempo, mentre c’è già un «avviso comune» delle tre maggiori confederazioni sindacali, e con Confindustria, sul «Piano di efficienza energetica 2010 – 2020» presentato a settembre 2010 da Confindustria.