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Rinnovabili, è boom di investimenti

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La velocità di crescita del mercato è impressionante al punto che la Iea, l’agenzia internazionale del settore, sostiene che già nel 2020 il fotovoltaico raggiungerà la competitività con le altre fonti. altrettanto brillanti sono anche i risultati e prospettive dell’eolico

Fonte: La Repubblica-Affari&finanza

Autore: Antonio Cianciullo

Il mercato ci crede e i finanziamenti arrivano a un ritmo che pochi avevano previsto. Negli ultimi tre anni le fonti rinnovabili hanno mosso più investimenti di quelle convenzionali: secondo l’ultimo rapporto Bloomberg, nel 2010 sono stati scommessi 243 miliardi di dollari sull’energia pulita, un 30 per cento in più rispetto all’anno precedente. E questo in piena crisi.
Sulla velocità della crescita non ci sono dubbi, ma c’è chi sostiene che sia viziata dagli incentivi e che sia sbagliato alterare il mercato premiando una filiera, anche se virtuosa e in fase di sviluppo. E’ una giusta perplessità? Guardiamo i numeri. Nel 2009 sono stati concessi, a livello globale, sussidi per 57 miliardi di dollari a favore delle rinnovabili. Tanti, ma decisamente meno dei 312 miliardi di dollari che, nello stesso anno, sono stati dati ai combustibili fossili. Da una parte si spendono 57 miliardi per assicurare il mondo contro il disastro del caos climatico, causato principalmente dall’uso dei combustibili fossili e dalla deforestazione; dall’altra si spende cinque volte e mezzo di più per alimentare proprio quegli impianti che contribuiscono a causare danni tali da mettere in pericolo le basi su cui poggia la nostra società.
E’ uno squilibrio evidente e difficilmente giustificabile. «In assenza di un supporto governativo, molte tecnologie rinnovabili lotteranno per sopravvivere, specialmente in un periodo in cui il gas è molto economico», ha avvertito Faith Birol, chief economist dell’International Energy Agency (Iea).
Nonostante queste difficoltà, il mercato continua a viaggiare a velocità impressionante. Secondo la roadmap della Iea, nelle regioni più assolate il fotovoltaico raggiungerà la competitività con altre fonti nel 2020 e nel 2050 fornirà l’11 per cento dell’elettricità globale (ci sarà l’equivalente di 3 mila centrali solari da 1.000 megawatt) consentendo di evitare l’emissione di 2,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica l’anno. Un obiettivo considerato credibile alla luce di una crescita che nell’ultimo decennio ha viaggiato alla velocità di un più 40 per cento annuo passando da 0,1 gigawatt (1992) a 14 gigawatt (2008). E alla luce della grande determinazione nel miglioramento tecnologico che ha portato a raddoppiare in sette anni la cifra scommessa su ricerca e sviluppo (dai 250 milioni di dollari del 2000 ai 500 milioni del 2007).
Notevoli anche le performance dell’eolico che, partendo da basi quantitativamente molto più consistenti di quelle del fotovoltaico (anche se sempre ridotte rispetto alla produzione elettrica totale), ha ottenuto una crescita del 28 per cento annuo nell’ultimo decennio in termini di capacità produttiva installata. Secondo l’Outlook 2010 curato dal Global Wind Energy Council e da Greenpeace, questa velocità diminuirà per assestarsi attorno a un più 9 per cento annuo nel 2020, quando nel mondo ci sarà — secondo lo scenario avanzato — l’equivalente di mille centrali da mille megawatt alimentate con il vento. Calcolando che le centrali eoliche lavorano attorno alle 2 mila ore l’anno, l’elettricità prodotta sarebbe pari a 2.600 miliardi di chilowattora (corrisponde a 260 reattori nucleari epr da 1.600 megawatt): il 12 per cento dell’elettricità totale.
In questo scenario avanzato gli investimenti salirebbero dai 57,5 miliardi di euro del 2010 a 109 miliardi nel 2015 e a 202 nel 2030. Le emissioni di anidride carbonica evitate passerebbero da 1,6 miliardi di tonnellate l’anno nel 2020 a 3,3 miliardi nel 2030. Quando, cioè, l’energia eolica avrà già evitato, complessivamente, l’emissione di 34 miliardi di tonnellate di CO2. Inoltre, osserva il rapporto, «quello che fa la differenza è la velocità alla quale le riduzioni di gas serra vengono compiute» e l’energia eolica è essenziale per arrivare a un rapido declino dei gas serra che dovrebbero toccare il picco attorno al 2020 per poi diminuire progressivamente.
Interessante è anche il legame tra lo sviluppo delle fonti rinnovabili e quello dell’occupazione. Nel rapporto «The Economic Benefits of Investing in Clean Energy», si è calcolato che negli Usa un milione di dollari investiti nel comparto delle energie pulite genera 16 posti di lavoro, il triplo rispetto a un analogo investimento nel campo dei combustibili fossili. Sono state anche elaborate valutazioni sulla capacità di generare occupazione da parte dei vari pacchetti di stimolo varati dai governi all’interno dei piani anti crisi: si va dai 100 mila nuovi addetti della Francia, ai 250 mila della Germania, ai 350 mila della Gran Bretagna, ai 960 mila della Corea del Sud, per finire ai 33,5 milioni degli Usa. «Già oggi in Spagna l’industria delle rinnovabili assicura 59 mila posti di lavoro diretti e 40 mila indiretti», ricorda Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace. «E l’eolico raggiunge picchi giornalieri del 46 per cento sul totale dell’elettricità prodotta in tutta la Spagna».
Accanto alla dimensione industriale orientata verso gli impianti di taglia media e medio alta, si svilupperà poi sempre di più il filone dei piccoli impianti, la rete di rinnovabili capillarmente diffusa sul territorio. «I grandi stabilimenti di produzione degli impianti di rinnovabili saranno sempre più collocati nell’estremo Est», commenta Claudia Bettiol, esperta di geopolitica delle fonti rinnovabili. «Per noi la scommessa è trasformare la filiera dei piccoli impianti in un segno forte dell’architettura e del paesaggio. Le rinnovabili non vanno nascoste, mimetizzate, ma messe in evidenza: perché vergognarsi dell’energia pulita? Dobbiamo valorizzarla facendola diventare un elemento di design. Questo è uno dei valori aggiunti che l’Italia può portare al futuro energetico».