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L’aria toscana? Salvata dalle rinnovabili

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Vantaggi climatici, economici, ma anche meno inquinanti chimici (Pm10 e altri). Il trucco? L’assenza di combustioni a terra

Fonte: Corriere Fiorentino

Autore: Riccardo Mostardini

«Interventi nel settore mobilità», nel «riscaldamento domestico», nel «settore delle attività produttive»: sono questi tre gli ambiti che il vigente Piano regionale per la qualità dell’aria (PRRM) indica come i principali in cui agire per contrastare l’inquinamento atmosferico. E – attenzione – per “inquinamento” qui non va intesa l’ormai inflazionata questione dei gas serra, ma la concentrazione di inquinanti “tradizionali”, in primo luogo le varie forme di particolato (Pm10 e altri) ma anche nitrati (NOx), anidride solforosa, ecc. E la differenza tra inquinamento climatico e inquinamento chimico non è da poco: il primo è percepito da molti cittadini (e quindi affrontato da molti politici) come una questione da affrontarsi “ad illo tempore”, cioè un problema sì significativo ma che non appare così urgente davanti alle esigenze di crescita economica o comunque di comodità nella vita quotidiana.

Ben diversa è, invece, la questione degli inquinanti chimici, per i quali è più evidente la relazione di causa ed effetto tra il degrado ambientale (leggi: la concentrazione di inquinanti) e il peggioramento delle condizioni di salute. Ma se, a livello di percezione della cittadinanza (e quindi di praticabilità di politiche incisive al netto del timore di perdita di consenso) i due problemi sono tra loro diversi, dal punto di vista pratico si tratta invece di due facce della stessa medaglia. E il comune denominatore è la presenza di combustioni: dovunque ci sia una combustione, infatti, avviene la “produzione” di inquinamento, e questo vale sia per le emissioni dirette di gas serra sia per gli inquinanti chimici. Non c’è da stupirsi, quindi, che le strategie di contrasto al cambiamento climatico e quelle di riduzione degli inquinanti chimici passino per gli stessi binari: prendendo ad esempio i dati relativi al Pm10 in provincia di Firenze (fonte: Peap 2005) emerge che, su 2200 tonnellate di polveri emesse in un anno, l’89% è associato alla somma delle combustioni industriali (inclusa la produzione di elettricità) e di quelle per riscaldamento e trasporto. E i dati relativi alle fonti di gas serra sono pressoché analoghi a quelli degli inquinanti chimici: dati Irpet indicano infatti che l’incidenza della “triade” trasporti-caldaie-produzione energetica è, in Toscana, dell’87% sul totale delle emissioni-serra. Sono questi i comparti su cui agire, quindi. E se “agire” sui trasporti è politicamente arduo sul lungo termine e soprattutto sul breve (quale amministratore pubblico accetta di buon grado di imporre blocchi del traffico davanti alla temuta perdita di consenso?), diventa ancora più stringente l’azione in direzione della sostenibilità delle forniture di energia termica ed elettrica: in poche parole occorre rendere da una parte meno inquinanti le combustioni (es. meno petrolio e più gas, sia a livello domestico che industriale), dall’altra cercare ove possibile di evitare completamente il ricorso alla combustione.

E da qui si capisce l’importanza delle energie rinnovabili, almeno di quelle (solare termico, fotovoltaico, eolico, geotermia, idroelettrico) che non prevedono combustioni a terra. Il giorno in cui la Toscana fosse completamente autosufficiente in termini di energia non avremmo solamente dato un (piccolo) contributo al problema climatico globale, e non avremmo fatto del bene solo al nostro portafoglio: vivremmo anche immersi in un’aria più pulita e più sana. Utopia? Forse non tanto, visto che lo stesso Piano energetico regionale ipotizza che già al 2012 il 50% dell’elettricità consumata in Toscana deriverà da fonti rinnovabili.