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Gli Stati Uniti stanno investendo per liberare il potenziale della geotermia

Al via quattro nuovi impianti pilota EGS, per esplorare un potenziale da 60 GW al 2050

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Al via quattro nuovi impianti pilota EGS, per esplorare un potenziale da 60 GW al 2050


All’interno del Piano infrastrutturale da 1.200 miliardi di dollari recentemente approvato negli USA dall’amministrazione Biden, un ruolo importante viene giocato dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti: al DoE vengono infatti affidate risorse per 62 miliardi di dollari, da impiegare anche per investimenti pubblici in geotermia.

Come ricorda l’edizione italiana di MIT Technology Review – la media company fondata a fine ‘800 dal celebre Massachusetts Institute of Technology di Boston -, le potenzialità del calore naturalmente custodito nel sottosuolo sono immense: la geotermia potrebbe soddisfare il doppio della domanda globale di energia – rendendola disponibile in modo continuo, senza dipendere dalle condizioni meteorologiche che invece vincolano eolico, solare o idroelettrico –, e cambiare volto anche all’approvvigionamento energetico degli USA.

«Secondo un rapporto del DoE del 2019, con una combinazione di cambiamenti politici e progressi tecnologici, la generazione di energia geotermica degli Stati Uniti potrebbe raggiungere i 60 gigawatt entro il 2050», spiegano dal MIT Technology Review.

Un balzo gigantesco, considerando che ad oggi la potenza geotermica installata negli Usa è pari a circa 3,7 GW e quella dei primi dieci Paesi geotermici al mondo arriva a circa 15,6 GW.

Colmare questo gap sarebbe però possibile solo puntando sugli impianti geotermici di tipo EGS (Enhanced Geothermal System), ovvero soluzioni di frontiera a ciclo chiuso per produrre elettricità in sistemi idrotermali a bassa permeabilità mediante stimolazione e reiniezione, oppure per ottimizzare i sistemi idrotermali naturali sempre aumentandone la permeabilità.

Con le tecnologie EGS (attualmente non presenti né in ipotesi in Italia) la fratturazione delle rocce nel sottosuolo viene infatti stimolata rompendo la roccia – e dunque aumentando la permeabilità del sistema idrotermale – grazie all’immissione di acqua o altri fluidi a grande pressione in fondo pozzo, non senza rischi in termini di incremento della sismicità come mostra il recente caso di Strasburgo: serve ancora molta ricerca su questo fronte, e gli investimenti del DoE vanno proprio in tal senso.

A valle dell’approvazione del Piano infrastrutturale, il DoE stanzierà infatti 84 milioni di dollari per finanziare l’avvio di 4 nuovi impianti pilota EGS: un importo limitato rispetto all’ammontare totale del Piano, ma quanto basta – secondo i ricercatori geotermici Usa – per aiutare molto la transizione delle tecnologie EGS dalla fase sperimentale a quella commerciale.

La geotermia «è davvero la rinnovabile che risponde meglio alle nostre esigenze», afferma Jody Robins in qualità di ingegnere geotermico del National Renewable Energy Laboratory, tenuto conto delle sue caratteristiche uniche di continuità produttiva.

Negli USA oggi un ruolo simile è svolto dall’energia nucleare, che non comporta emissioni dirette di gas serra ma – al contrario della geotermia – non è rinnovabile, presenta gravi criticità nella gestione delle scorie nucleari, è molto costosa e invisa all’opinione pubblica.

Come dettagliano da MIT Technology Review, le moderne centrali geotermiche «sono in funzione negli Stati Uniti dagli anni 1970, ma ormai le risorse geotermiche più accessibili – in gran parte concentrate nell’ovest del Paese – sono state sfruttate. Alcuni ricercatori e startup stanno cercando di espandere la geotermia in altri posti. Con sistemi avanzati, stanno pompando fluido nella roccia impermeabile per forzare l’apertura di crepe in cui l’acqua sia libera di muoversi e di riscaldarsi, producendo il vapore necessario per l’energia. Il processo ha il potenziale per innescare terremoti, come hanno dimostrato i primi progetti in Corea del Sud e Svizzera. Tuttavia, queste tecniche sono simili al fracking, diffuso negli Stati Uniti, e i rischi sono probabilmente gestibili nella maggior parte dei luoghi» afferma Robins.

Questo approccio potrebbe espandere la geotermia «in luoghi sprovvisti di acque sotterranee o dei tipi di roccia necessari per gli impianti tradizionali», e per capirlo il DoE finanzierà quattro siti dimostrativi: «Ciò permetterà di ampliare la creazione di strutture EGS, dal momento che saranno in grado di lavorare in luoghi diversi e con diversi tipi di rocce. Almeno un impianto sarà costruito negli Stati Uniti orientali, dove il geotermico è meno diffuso».