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Salvare il pianeta non ucciderà l’economia

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Quello che bisogna fare, in realtà, è cambiare la forma della crescita, ed è esattamente il genere di cose che i mercati sanno fare bene, se si individua il prezzo giusto.

Fonte: Il Sole 24 Ore

Autore: di Paul Krugman

Nate Silver si è attirato un bel po’ di critiche quando ha scelto di affidare a Roger Pielke Jr. la rubrica sulle questioni ambientali nel suo nuovo sito web, FiveThirtyEight. Pielke, che insegna all’università del Colorado, tra i climatologi è visto come una specie di infiltrato provocatore, che si presenta come uno di mentalità aperta, ma in realtà ha il preciso obbiettivo di minare ogni volta che può la tesi in favore dell’imposizione di limiti alle emissioni di gas serra. Ma è proprio così? Recentemente il signor Pielke ha scritto una lettera al direttore del Financial Times sugli aspetti economici dei limiti alle emissioni che conferma largamente la sua cattiva nomea. Ecco cosa dice Pielke: «Le emissioni di anidride carbonica sono il risultato della crescita del Pil e delle tecnologie di consumo e produzione energetica. Questo rapporto è definito, più precisamente, "Identità di Kaya", dal nome dello scienziato giapponese Yoichi Kaya che per primo lo propose, negli anni 80. Un tetto alle emissioni significa quindi, necessariamente, che un governo si impegna o a cessare la crescita economica o a far progredire in modo sistematico l’innovazione tecnologica nel campo dei sistemi energetici, a un ritmo preventivabile, in modo da non penalizzare la crescita. Dal momento che fermare la crescita economica è una strada che nessuno prende in considerazione, in Cina o in qualsiasi altro posto, e dal momento che l’innovazione tecnologica non avviene per decreto, di fatto il concetto di un tetto alle emissioni non è realistico». Pielke non sta sostenendo che è difficile, dal punto di vista pratico, limitare le emissioni senza bloccare la crescita economica: sta affermando che è impossibile dal punto di vista logico. È una stupidaggine, e vediamo perché. È vero che le emissioni rispecchiano le dimensioni dell’economia e le tecnologie disponibili. Ma rispecchiano anche delle scelte: scelte su cosa consumare e come produrlo, scelte su quale tecnologia energetica usare tra quelle disponibili. Queste scelte, a loro volta, sono fortemente influenzate dagli incentivi: modificando gli incentivi possiamo incidere significativamente sulla quantità di emissioni associata a un determinato aumento del Pil reale.
Prendiamo, per fare un esempio, le emissioni di un’automobile. In un’economia sana è normale che la gente voglia spostarsi. Ma se il prezzo e la qualità del trasporto pubblico sono adeguati, qualcuno potrebbe preferirlo all’automobile; oppure la gente potrebbe guidare macchine a bassi consumi, invece di grossi Suv; oppure potrebbe usare auto diesel o auto ibride. Tutte queste scelte imporrebbero dei costi e ridurrebbero in una certa misura il reddito reale, ma l’effetto non sarebbe neanche lontanamente quello di un calo del Pil reale in un rapporto di 1:1 con il calo delle emissioni. Peraltro, l’inasprimento delle norme sul risparmio di carburante degli automezzi da parte dell’amministrazione Obama per certi versi è una mossa importante quanto le nuove regole introdotte recentemente per le centrali elettriche. Ma è di queste ultime che si parla sui mezzi di informazione e che hanno spinto Pielke a scrivere quella lettera. Dove sono le scelte, in questo caso? Sono dappertutto. Non c’è una relazione fissa tra consumi elettrici e Pil: ci sono molte scelte che si possono fare, su cose come l’isolamento termico e la progettazione degli edifici. Ancora più importante è che ci sono tanti modi per generare elettricità: il carbone, il gas naturale, l’energia nucleare, l’energia idroelettrica, l’eolico, il solare; e le alternative al carbone oggi sono competitive come non mai. Non dico che ridurre le emissioni non abbia nessun costo, ma ripeto, l’idea che una riduzione delle emissioni del 30% comporti un calo del Pil del 30% è ridicola. Quello che bisogna fare, in realtà, è cambiare la forma della crescita, ed è esattamente il genere di cose che i mercati sanno fare bene, se si individua il prezzo giusto.
(Traduzione di Fabio Galimberti)