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L’Italia in pool position per la geotermia, salvo ostacoli posti nella manovra finanziaria

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Il rapporto “Geothermal Energy: International Market Update” pone il nostro paese al 5 posto nel mondo per capacità geotermica installata e prevede interessanti sviluppi futuri, ma la recente manovra finanziaria ha introdotto un articolo che potrebbe ridurre il vantaggio prodotto dai certificati verdi.

Fonte: GeotermiaNews.it

Autore: Redazione

L’Italia occupa il quinto posto nella classifica pubblicata nel rapporto della Gea, “Geothermal Energy: International Market Update”, grazie allo sviluppo sostenuto che la geotermia ha avuto nello scorso secolo nelle aree di Larderello, Travale, Radicondoli e Monte Amiata, considerate le principali zone geotermiche italiane.

Con l’avvio delle due ulteriori unità geotermiche realizzate in Toscana nel 2009, Sasso 2 e Lagoni Rossi, l’attuale capacità installata risulta pari a 843MW ma nel rapporto si indica che la capacità stimata nel 2010 sarà pari a 920 MW. Una stima abbastanza in linea con quanto previsto dal piano di Enel per il quinquennio 2007/2011 (che prevede interventi per 112 MW ) e con il Pier della regione Toscana – che rimane la principale area di sviluppo geotermico- che prevede una potenza aggiuntiva installata al 2020 di 200 MW.

Nell’anno in corso l’Italia ha visto anche la nascita del progetto Campi Flegrei Deep Drilling, un programma di ricerca per lo sfruttamento geotermico delle aree vulcaniche italiane, condotto dal Dipartimento di Napoli dell’Istituto nazionale di geofisica e Vulcanologia e varie istituzioni internazionali, tra cui la US Geological Survey.

Il progetto che prevede la perforazione di due pozzi presso l’ex acciaieria Ilva di Bagnoli (oggi proprietà di Bagnolifutura Spa) ha l’obiettivo di sperimentare le migliori tecnologie di produzione energetica utilizzando il calore raccolto dai fluidi cosiddetti ‘supercritici, ovvero a temperature ben maggiori di 400 gradi.

Il primo pozzo che verrà perforato raggiungerà una profondità di 500 metri e servirà a verificare le condizioni di temperatura, pressione e litologia per la fase principale dell’esperimento.

L’esperimento vero e proprio prevede infatti una perforazione che da Bagnolifutura con un angolo di immersione di 25 gradi devierà verso il mare fino al centro della caldera flegrea nel Golfo di Pozzuoli, raggiungendo una profondità di 4 chilometri dove le temperature raggiungono 500 – 600 gradi centigradi.

Nel primo pozzo pilota saranno effettuati test fondamentali per capire le eventuali criticità che il sistema potrebbe comportare, tra questi l’installazione di sensori in fibre ottiche per il monitoraggio delle deformazioni e delle variazioni di temperatura.

Test che serviranno a studiare in maniera più approfondita il sistema geotermico dell’area flegrea, il bradisismo tipico di quell’area e permetteranno di calcolare con precisione la profondità in cui si trova il magma più superficiale. I dati raccolti serviranno anche a porre le basi per un sistema di previsione dei rischi sismici e vulcanici.

Quindi dal rapporto presentato dalla Gea, l’Italia appare come un paese in cui si ha intenzione di investire nella geotermia e in cui la quota di energia elettrica generata grazie a questa fonte energetica potrebbe crescere più del 10% entro i prossimi 10 anni.

 

Salvo che le ultime misure apportate con la manovra finanziaria non rappresentino invece degli ostacoli a queste previsioni di sviluppo.

L’articolo 45 della manovra finanziaria, interviene infatti sui certificati verdi, e impedisce al GSE- l’organo deputato a gestire questi incentivi- di ritirare quelli in eccesso.

Il sistema dei Certificati Verdi è nato con il Decreto Bersani (d.l. 79/99), che ha imposto l’obbligo di immettere una quota di energia elettrica prodotta da impianti ad energie rinnovabili del 2%, a partire dal 2001, a tutte le aziende che producono o importano energia elettrica da fonti non rinnovabili e che immettono in rete più di 100 GWhe/anno. Obbligo che è stato incrementato dello 0,35% dal 2004 al 2006, attestandosi quindi al 3,05% e, con la finanziaria 2008, dello 0,75% dal 2007 al 2011. Quindi la quota obbligatoria diventerà del 7,55% al 2011.

Una quota difficilmente raggiungibile dai produttori di energia da fonte non rinnovabile, se non ricorrendo agli acquisti di certificati verdi dai produttori di energia da fonti rinnovabili, avvalendosi di quelli presenti sul mercato e gestiti dal GSE.

I certificati verdi infatti, su richiesta dei produttori di energia da fonti rinnovabili, vengono emessi dal GSE che ha l’obbligo di ritirare l’eccesso di offerta, ovvero quelli rimasti invenduti, in base a quanto disposto dalla legge finanziaria del 2008 (n. 244 del 24 dicembre 2007).

Secondo i dati resi noti dall’Autorità per l’energia, nel 2009 il Gse ha speso circa 1 miliardo di euro per l’acquisto dei certificati rimasti invenduti (cioè in eccesso rispetto a quelli necessari per assolvere l’obbligo), quindi siamo di fronte ad un eccesso di offerta rispetto alla domanda, e in questo contesto la misura introdotta dalla manovra finanziaria potrebbe avere l’effetto di aggravare questo squilibrio.

Il rischio sarebbe infatti che la presenza di tanti certificati verdi rimasti invenduti, faccia crollare il loro prezzo e quindi renda molto meno vantaggioso questo strumento nato per incrementare l’energia prodotta con fonti rinnovabili, tra cui quella geotermica.