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L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia in prima fila per la ricerca e la sperimentazione dei progetti

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Si studia per lo stoccaggio dell’anidride carbonica

Fonte: Informa Sicilia.it

Autore: Informa Sicilia.it

Si è concluso il 10 Settembre il Congresso “Zero Emissions, Rome 2010” tenutosi presso la Nuova Fiera di Roma. Nell’ambito dei tre giorni di discussione tra le varie tecnologie da adottare per limitare le emissioni di anidride carbonica in atmosfera prende piede, sebbene troppo lentamente considerata la crisi energetica e climatica in corso, la tecnologia denominata CCS (Carbon Capture and Storage). Essa permette di utilizzare ancora gli idrocarburi fossili del sottosuolo, bruciandoli senza emettere quasi per nulla anidride carbonica in atmosfera. La “CO2 catturata” a tergo degli impianti derivante da processi industriali di vario tipo (centrali elettriche, cementifici, raffinerie, biomasse, termovalorizzatori o altro)  invece di essere liberata in atmosfera, verrebbe convogliata lungo cosiddette “pipelines” (tubi per il trasporto analoghi a quelli per il metano) ed, infine, iniettata nel sottosuolo per essere poi accumulata all’interno di strutture geologiche particolari, di cui in italia e fuori costa ve ne sono un centinaio, che non ne permettano la fuoriuscita per centinaia di migliaia di anni. Questo tra poco sarà possibile anche in Italia grazie al recepimento nel nostro paese della Direttiva Europea 31/2009, che INGV ha recentemente revisionato su richiesta del Ministero dello Sviluppo Economico (Prot. INGV 10464 del 7 settembre 2010)

Al congresso iniziale, tenutosi l’8 Settembre, hanno partecipato esponenti dei Centri di Ricerca e studiosi sulla CCS, nonché rappresentanti di importanti aziende italiane. L’affluenza del pubblico è stata scarsa, soprattutto alla tavola rotonda finale, perché non vi è sufficiente mercato ancora e spesso il CCS viene associato solo all’industria del carbone, mentre non dovrebbe essere così.

Il CCS (CO2 Capture & Storage) di per se è un innovazione straordinaria, nella rivoluzione energetica in corso e non compresa dalla maggior parte della popolazione. Il CCS è ormai contemplata a tutti gli effetti dalla Road Map della IEA (International Energy Agency), dalla politica europea (EU-ZEP) e da altre entità multilaterali come in Cina cosi negli USA aderenti al CSLF (Carbon Sequestration Leadership Forum). Tale tecnologia porterebbe ad una riduzione sostanziale (circa il 20% nella politica cosiddetta 20-20-20) di CO2 libera in atmosfera e, quindi, è importantissima per la limitazione dell’effetto serra che ha come conseguenza cambiamenti climatici a scala globale. Fedora Quattrocchi  – geochimica dell’Istituto Nazionale dei Geofisica e Vulcanologia (INGV) – dice “Tutto il meccanismo di messa a punto del CCS è molto frenato in realtà dalla scoperta del passaggio a Nord Ovest al Polo Nord, dovuto allo scioglimento ghiacci stessi: chiaramente le compagnie petrolifere dell’emisfero Nord hanno tutto l’interesse a estrarre ancora idrocarburi da quelle incontaminate aree,e quindi con il CCS…. aspettiamo un attimo dicono…. Ma per allora i processi di feed-back climatologico saranno ormai irreversibili

 “La temperatura sta crescendo di circa 0,8 °C all’anno” dice il Prof. Stefano Caserini che da un anno collabora con l’INGV in una tesi di dottorato comune con Quattrocchi, sui case histories italiani. Egli, quale Docente di “Fenomeni di inquinamento” presso il Politecnico di Milano, mette in guardia sul problema climatologico: “per cui è un problema che deve essere affrontato in tempi brevi e a cui bisogna porre rimedio. La mitigazione del rischio è possibile attraverso la ricerca e la comprensione da parte dell’opinione pubblica”.

È proprio in questo ambito che da anni all’INGV, si portano avanti progetti sulla cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica. I progetti, capitanati dalla Dott.ssa Fedora Quattrocchi, Dirigente di ricerca della sezione sismologia e tettonofisica, Unità Funzionale “ Geochimica dei Fluidi, stoccaggio geologico e geotermia, nonché Docente di “Trasporto e sequestro della CO2” presso Ingegneria Industriale dell’Università Tor Vergata di Roma, prevedono lo studio soprattutto del risk assessment dei siti geologici italiani favorevoli allo stoccaggio dell’anidride carbonica. E’ imminente (dal 25 al 30 settembre) un corso della International School of Geophysics ad Erice che tratterà  alla tavola rotonda del 29 settembre dell’approccio sistemico degli stoccaggi geologici di gas (CO2 e metano), geotermia profonda e nuclear waste disposal, comunque da fare in Europa da qualche parte, che si riprenda o meno a costruire centrali nucleari.

Dall’intervento della Dott.ssa Quattrocchi emergono anche dei problemi sistemici di fondo non tenuti minimamente in considerazione da pianificazioni territoriali nazionali e regionali (considerando anche l’imminente federalismo, che non ha senso per strutture geologiche profonde che magari occupano 2-3 Regioni). In paesi densamente popolati mancano: spazio (da dedicare ad agricoltura semmai e non ha rinnovabili “space consuming”), acqua (per le centrali elettriche siano esse a carbone, a metano o nucleari), ricercatori di ruolo dignitosamente riconosciuti nel loro delicato lavoro, che a sua volta guida la politica e rassicura le popolazioni dubbiose e incerte di questo stato confusionale di cose.

È proprio per questo motivo che la Dirigente di Ricerca dell’INGV propone un approccio integrato al problema,  “Per ovviare al problema dell’accettazione da parte dei cittadini”, dice la Dott.ssa Quattrocchi, “bisognerebbe rendere partecipe l’opinione pubblica, attraverso la completa trasparenza sui progetti. Bisogna far presente alla popolazione la possibilità di poter coniugare la CCS con, ad esempio, geotermia a profondità maggiori, nello stesso sito, poter coniugare le metodologie e conoscenze acquisite con studi di stoccaggio CO2 con quelli di stoccaggio scorie nucleari, etc… ora le lobby sono divise e tutto è più difficile”.

Una delle preoccupazioni maggiori e delle domande che spesso vengono rivolte a questo tipo di tecnologia è quella del sussistere o meno di problematiche legate all’alta sismicità del territorio italiano: è importante che gli studi di rischio siano sistemici, integrali e multidisciplinari, con software, ancora assenti sul mercato, che simulino i processi geomeccanici, di flusso e trasporto e geochimici non separatamente ma congiuntamente. A chi viene affidato lo studio del risk assessment e del monitoraggio devono essere messi a conoscenza anche i dati di partenza per il calcolo delle capacità e delle vie di fuga della CO2 del sistema.

Siamo ancora lontani in Italia da questa realtà, ma progressivamente la situazione sta migliorando. In Italia siamo più avanti che altrove perchè certi studi già venivano svolti da INGV e da altre istituzioni per conto del Dipartimento di Protezione Civile e INGV detiene il terzo posto al mondo per numero di pubblicazioni su questo settore di risk assessment.