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IN DIFESA DEGLI INCENTIVI ALL’ENERGIA RINNOVABILE

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Da mesi una campagna mediatica mette l’accento, in maniera quasi ossessiva, sui costi eccessivi per la bolletta elettrica degli italiani di sussidi troppo generosi all’energia rinnovabile. Sono tuttavia incentivi non solo opportuni, ma necessari perché finalizzati a sostenere l’introduzione, l’adozione e la diffusione di nuove tecnologie. I benefici che generano per i cittadini, le aziende e la società nel suo complesso superano di gran lunga il costo

Fonte: la voce.info

Autore: Marzio Galeotti

Da mesi una campagna mediatica mette l’accento, in maniera quasi ossessiva, sui costi eccessivi per la bolletta elettrica degli italiani di sussidi troppo generosi all’energia rinnovabile. Sono tuttavia incentivi non solo opportuni, ma necessari perché finalizzati a sostenere l’introduzione, l’adozione e la diffusione di nuove tecnologie. I benefici che generano per i cittadini, le aziende e la società nel suo complesso superano di gran lunga il costo. E il governo dovrebbe affermare senza ambiguità che l’obiettivo ultimo è sostituire le fonti fossili di energia con quelle rinnovabili.
Circola in rete un appello alla mobilitazione intitolato “Salviamo il futuro delle rinnovabili” con cui viene dato appuntamento il 18 aprile in piazza Montecitorio a Roma per manifestare contro “la campagna mediatica che sta mettendo in luce solo i rischi e gli impatti in bolletta e non gli enormi vantaggi per il paese, i cittadini e le aziende”.
SUSSIDI E FOTOVOLTAICO
Gli economisti non amano i sussidi. Gli incentivi alla produzione o alle vendite dovrebbero dare fiato a un settore, in realtà lo drogano, conferendo un vantaggio immeritato ad aziende inefficienti, vantaggio destinato a essere temporaneo. Non solo: misure di questo tipo costano alle casse statali e creano effetti a catena perché i settori non beneficiati presto li reclamano a loro volta. Se poi al loro annuncio non segue celermente la concessione, gli effetti dell’attesa possono innescare comportamenti che finisco per vanificare totalmente i presunti benefici. A pagare i costi delle regalie sono inevitabilmente i cittadini e le aziende, indirettamente attraverso la fiscalità generale o addirittura direttamente, attraverso una quota incorporata nel prezzo di alcuni beni o servizi.
Tutto ciò secondo il manuale. Ma quello che sta succedendo ormai da mesi in Italia intorno ai sussidi all’energia rinnovabile, e al fotovoltaico in particolare, rischia seriamente di farci buttare il bambino con l’acqua sporca.
Sul tema esperti ed economisti – anche su questo sito – così come commentatori e autorevoli giornalisti, nonché esponenti di spicco dell’industria, della politica e delle associazioni dei consumatori mettono reiteratamente l’accento, in maniera quasi ossessiva, sui costi eccessivi per la bolletta elettrica degli italiani di sussidi troppo generosi in un momento in cui aumenta tutto tranne che i redditi (da lavoro). L’operazione è dannosa in quanto fa sì che “pestando” sui costi si oscurino totalmente nella mente di chi legge e ascolta i benefici. E occhi e orecchie sono molto ricettivi  perché i costi riguardano la generazione attuale, mentre i benefici – ancora una volta – riguardano le generazioni future, ancorché non troppo lontane.
È allora quanto mai opportuno fare un poco di chiarezza per evitare di demonizzare questo strumento. Gli incentivi alle fonti rinnovabili, in particolare il cosiddetto Conto energia per il solare fotovoltaico, sono stati assai generosi e ciò ha favorito un’eccezionale espansione dell’industria lungo tutta la filiera produttiva. Hanno attirato imprese serie e motivate, ma hanno anche finito per favorire comportamenti al meglio disonesti e al peggio penalmente e civilmente rilevanti. Infine, come si sente ripetere ultimamente, hanno preso in larga misura la strada dell’estero perché le imprese produttrici di importanti componenti della tecnologia (i pannelli) sono soprattutto straniere: cinesi, americane e tedesche. Gli oneri sono stati posti a carico della bolletta elettrica (la cosiddetta componente A3) e quindi gravano sulle tasche degli italiani.
Ci sono, tuttavia, alcuni “ma” che è doveroso opporre a queste considerazioni.
BOLLETTE SOTTO ESAME
Il primo “ma” riguarda l’aggravio della bolletta a causa degli incentivi alle rinnovabili. Si parla di 6 miliardi di euro di costo annuo, motivo per cui i nuovi decreti attuativi dovrebbero fissare un tetto massimo di 7 miliardi per il nuovo Conto energia. In realtà, la presunta insostenibilità per le tasche degli italiani e per i conti delle aziende (soprattutto le energivore) è anzitutto dovuta all’aumento dei costi delle materie prime, quelle fossili, utilizzate dalle centrali termoelettriche con cui si genera oggi l’80 per cento dell’elettricità del nostro paese. Se nell’immediato su questo fronte non v’è molto da fare, è proprio il contributo delle rinnovabili che potrà permettere, in un futuro che può essere (volendolo con determinazione) prossimo, di ridimensionarne l’impatto del costo dell’energia sulle bollette. Ma c’è dell’altro.
Se guardate la vostra bolletta vedete che è composta da quattro voci: servizi di vendita, servizi di rete, imposte, altri proventi e oneri. Il costo dell’energia inteso come materia prima è incluso nella prima voce, che pesa per il 60-70 per cento del totale, mentre i sussidi alle rinnovabili di cui si discute sono parte della cosiddetta componente A3 della quarta voce – gli altri proventi e oneri – che complessivamente pesano per circa il 7 per cento della bolletta totale. (1) Questo per capire di cosa si sta parlando. In bolletta finiscono anche 4 miliardi circa per la messa in sicurezza dei siti nucleari, i sussidi alle acciaierie, i regimi tariffari speciali alle Ferrovie, insomma oneri che sarebbe ragionevole e doveroso porre a carico della fiscalità generale. I sussidi direttamente riferibili alle fonti rinnovabili come il discusso fotovoltaico costituiscono il 70 per cento della componente A3 (quindi il 70 per cento del 7 per cento), mentre il restante 30 per cento fa riferimento al famigerato Cip6/92, un onere da 35 miliardi di euro che abbiamo pagato dal 1992, per il quale la Commissione Europea nel 2004 aprì una procedura di infrazione contro l’Italia in quanto non si poteva spacciare l’incenerimento come energia rinnovabile, dunque ammessa a ricevere incentivi pubblici. Quel meccanismo infatti compensa i produttori di energia da fonti "assimilate" alle rinnovabili, cioè centrali elettriche a ciclo combinato alimentate con il metano o il gas ottenuto dalla gassificazione dei residui di raffineria, termovalorizzatori connessi agli inceneritori di rifiuti, e così via. (2) Quanto è corta la memoria delle persone?
LO SVILUPPO DI NUOVE TECNOLOGIE
Il secondo “ma” riguarda il fatto che gli incentivi in questione non sono i sussidi di cui abbiamo detto in apertura: sono strumenti affatto differenti, finalizzati al supporto dell’introduzione, adozione e diffusione di nuove tecnologie. Tutte le nuove tecnologie, quelle energetiche in particolare, passano tipicamente attraverso le fasi della ricerca di base, della ricerca applicata, la fase dimostrativa, pre-commerciale, del mercato di nicchia fino alla fase pienamente commerciale. In questo percorso, che talune tecnologie non compiranno mai fino in fondo, i costi unitari sono inizialmente molto alti, ma scendono più o meno rapidamente a mano mano che la tecnologia viene adottata e si diffonde. Si chiama curva di apprendimento. (3) Compito degli incentivi è quello di “spingere” inizialmente le nuove tecnologie e assecondare il loro percorso verso la diffusione lungo quella curva. Nel caso del fotovoltaico, per fare un esempio, per un impianto da 3 Kw di potenza solo due o tre anni fa l’investimento si aggirava intorno ai 20mila euro, circa 7mila euro per Kw di potenza. Oggi la soglia si è ridotta almeno della metà, senza che la qualità sia diminuita. I sussidi traggono dunque la loro ragion d’essere dalla presenza di un traguardo di adozione che la politica fissa per la tecnologia che si vuole favorire: sono gli obiettivi nella loro dimensione quantitativa e nella loro tempistica che dettano anzitutto l’entità e l’intensità dei sussidi. I quali perciò non sono solo utili, ma sono necessari se si vuole saltare l’iniziale ostacolo rappresentato dagli alti costi. Per le ragioni dette è poi naturale che quei sussidi si riducano progressivamente nel tempo fino a scomparire quando la tecnologia sarà divenuta pienamente competitiva con le altre già presenti o il target di diffusione sia stato raggiunto. La velocità con cui ciò si verificherà dipenderà anche dalla volontà della politica circa i tempi con cui si desiderano raggiungere certi risultati.
QUALI SONO I BENEFICI
Il terzo “ma” riguarda i benefici degli incentivi. Se ci fosse una più ferma volontà di spiegare e cercare di quantificare i benefici dei sussidi all’energia rinnovabile sarebbe molto più facile fare accettare all’opinione pubblica il costo che comportano. Alcuni benefici sono più facilmente quantificabili di altri, ma non proveremo qui a fare un simile esercizio numerico. Basti tuttavia ricordare quali essi sono. Sono anzitutto benefici da minori emissioni inquinanti, di anidride carbonica ma non solo. Questo contribuisce a rallentare il riscaldamento globale, ma fa anche risparmiare il prezzo della CO2 che la generazione termoelettrica e le altre industrie energivore devono pagare nell’ambito dell’Ets europeo. Sono poi benefici da minori importazioni di combustibili fossili, il che comporta non solo un risparmio monetario, ma ha anche una valenza geopolitica dovuta alla maggiore indipendenza dai paesi produttori esteri: Russia, Iran, Algeria, Libia (come si quantifica questo beneficio?). Sono poi benefici più immediati in termini di creazione di occupazione, valore aggiunto, opportunità di business, ricerca e sviluppo, esportazioni, gli ingredienti in altre parole della cosiddetta “green economy”: che valenza ha il fatto di essere tra i pochi settori in crescita in un momento di profonda recessione come quella che stiamo attraversando? E da ultimo sembra emergere anche un effetto di calmieramento dei prezzi nelle ore di picco sul mercato elettrico: nel 2011 l’effetto di “peak shaving” attribuibile al solo fotovoltaico in Italia sarebbe stato prossimo ai 400 milioni di euro. (4)
Non vi è alcun dubbio che gli incentivi siano stati gestiti in maniera pessima negli ultimi anni da chi ci ha governato: sono stati scritti in maniera non ponderata prima, così da favorire le speculazioni e il malaffare, e si è permessa poi, in occasione dei rinnovi dei provvedimenti, una ridda di voci di segno opposto, lasciando trapelare indiscrezioni circa volontà punitive, salvo repentine smentite, giravolte, marce indietro, così da generare incertezza e caos nel settore interessato e in quelli collegati. Non vi è poi dubbio che si è privilegiato una fonte rinnovabile particolare lasciando a bagnomaria gli interventi su altri fronti, quelli delle rinnovabili termiche e dei trasporti, assolutamente necessari visti gli obiettivi che il piano nazionale d’azione stabilisce. E grande e maggiore spazio è obbligatorio dedicare agli interventi a favore dell’efficienza energetica.
In fin dei conti è necessario che si dica con chiarezza che sulle fonti rinnovabili di energia esistono impegni e obiettivi che il governo si è dato e che ha preso con l’Unione europea. In questo quadro, gli incentivi non sono solo giustificati ma sono necessari. È bene poi che si dica con nettezza che i benefici che generano per i cittadini, le stesse aziende e la società nel suo complesso superano di gran lunga il costo. È infine necessario dire senza ambiguità che l’obiettivo ultimo è quello di sostituire le fonti fossili di energia con quelle rinnovabili. Questo forse non piacerà a qualcuno nella politica all’interno e all’esterno del governo e nell’industria, vista la massa di entrate fiscali generate dai consumi e dalla produzione di energia tradizionale, anche alla luce del “noise” generato dal conflitto d’interessi di un governo azionista di riferimento dei maggiori attori energetici di casa.
(1) Oltre ai servizi di vendita vi sono i servizi di rete, che contano per il 15 per cento del totale, e sono oneri collegati alla distribuzione, il trasporto e la misurazione dell’energia elettrica fornita all’utente finale. Le imposte valgono un 14 per cento della bolletta e comprendono quelle sul consumo (imposta erariale e addizionali degli enti locali, comune e provincia), la cosiddetta accisa – applicata al consumo totale ed espressa in euro (più precisamente, in €/kWh), e l’imposta sul valore aggiunto (Iva), che invece è espressa in termini percentuali. Infine, per un’incidenza di circa il 7 per cento, vi sono gli altri proventi e oneri, che sono componenti previste per legge, il cui gettito è destinato a finalità particolari. Sono costi associati a diverse voci, come la promozione delle fonti rinnovabili (componente A3), il mantenimento di regimi tariffari speciali (componente A4), i contributi per ricerca e sviluppo (componente A5), i contributi per lo smantellamento delle centrali nucleari e relative misure di compensazione (componente A2 e Mct) ed altre voci minori. La più consistente di queste componenti è la A3, destinata a promuovere la produzione di energia da fonti rinnovabili e assimilate. Oltre agli oneri generati direttamente dagli incentivi statali, essa serve a coprire anche i costi di funzionamento del Gse (Gestore del sistema elettrico), quelli per i Certificati verdi, quelli per le agevolazioni per le connessioni alla reti di distribuzione, etc. Gli attuali incentivi statali per il fotovoltaico- e, più in generale, per l’energia prodotta da fonti rinnovabili: eolico, geotermico, idroelettrico, etc. – sono parte della componente A3.
(2) Le percentuali indicate sono soggette a una certa variabilità, in relazione al tipo di bolletta considerata (utenti domestici o aziende) e in relazione a chi ne scrive. Per avere un’idea di ciò si vedano i seguenti siti:  http://www.fulvioscaglione.com/2011/03/09/rinnovabili-bolletta-e-balle-varie/;
(3) Ben noto lo studio del 2000 dell’Agenzia internazionale dell’energia “Experience Curves for Energy Technology Policy”. Si veda anche “ETP 2008: Technology Learning and Deployment”.
(4) Secondo l’Irex Annual Report 2012 presentato da Althesys