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Clima, se anche l’Europa rallenta

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L’analisi
L’EUROPA NON ACCELERA NEL CAMBIAMENTO DEL PARADIGMA ENERGETICO

Fonte: L’Unità

Autore: Pietro Greco

LA COMMISSIONE DI BRUXELLES ha proposto, ieri l’altro, un programma di riduzione delle emissioni di gas serra e di promozione delle fonti rinnovabili e «carbon free» da qui al 2030 piuttosto prudente. Taglio delle emissioni di carbonio sì, ma contenuto entro il 40% rispetto al livello del 1990. Promozione delle fonti rinnovabili sì, ma contenute entro il 27% del paniere energetico. E soprattutto: nessun vincolo per i singoli Stati. Hanno facile gioco i movimenti ambientalisti a denunciare l’eccessiva prudenza, appunto, di questi numeri contenuti nel Libro Bianco sul rapporto clima/energia presentato dalla Commissione presieduta da presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso. Sia perché sono numeri che indicano, per così dire, un trascinamento inerziale nel programma di cambiamento del paradigma energetico. Già oggi l’Unione Europea ha tagliato quasi del 20% le sue emissioni di gas serra rispetto al 1990. Con le norme che sono già in vigore, entro il 2030 il taglio supererà la soglia del 30%. Per cui il nuovo pacchetto energetico propone un taglio ulteriore del 7 o 8%. Troppo poco, per giustificare l’entusiasmo con cui il Commissario all’Azione climatica, la danese Connie Hedegaard, ha annunciato gli obiettivi del Libro Bianco. Tanto più che il medesimo ragionamento vale per le fonti rinnovabili: l’obiettivo del 27% verrà raggiunto quasi naturalmente dall’Unione europea, senza particolari sforzi. Senza alcuna accelerazione, appunto. Senza quell’accelerazione necessaria a ribaltare completamente l’attuale paradigma energetico, fondato sui combustibili fossili, e a ridurre, da qui al 2050, di almeno l’80% le emissioni di gas serra. Per raggiungerlo, quell’obiettivo che gli scienziati considerano coerente col tentativo di contenere l’aumento della temperatura del pianeta entro i 2 °C, occorrerebbe che entro il 2030 i tagli alle emissioni di carbonio fossero almeno del 55% rispetto ai livelli del 1990 e che nel paniere energetico le fonti rinnovabili salissero almeno al 45%. In definitiva, occorreva darsi ben altri traguardi per conservare all’Europa la definizione, non meramente simbolica, di «locomotiva verde» del pianeta. Anche perché quei numeri sembrano nascondere un’involuzione culturale. I Paesi europei – in primo luogo la Germania e la Gran Bretagna – sembrano non credere più che i vincoli ambientali, con il contrasto ai cambiamenti climatici e il cambio del paradigma energetico, possano essere la leva di un nuovo sviluppo. Per molti anni i governi di molti Paesi del nord dell’Europa – tra i grandi la Germania, ma anche la Gran Bretagna – hanno sostenuto che l’innovazione necessaria per aumentare la sostenibilità ecologica e, in particolare, per contrastare i cambiamenti del clima sarebbe diventata il maggiore fattore competitivo anche in campo economico. Ora sono stati proprio i governi della Gran Bretagna e della Germania a chiedere che il programma energetico e climatico dell’Unione andasse sì avanti, ma con prudenza Per non compromettere la crescita economica. Se questa impressione è fondata, sarà difficile che i Paesi occidentali possano favorire la messa a punto di un meccanismo globale per la prevenzione dei cambiamenti del clima nel corso della Conferenza delle Parti che hanno sottoscritto la Convenzione sul Clima delle Nazioni Unite che si terrà a Parigi il prossimo anno, nel 2015. Molti considerano questa l’ultima data utile per avviare un processo di tagli alle emissioni antropiche di gas serra sufficiente almeno a contenere l’aumento della temperatura media del pianeta entro i 2 °C. Le condizioni al contorno non fanno indulgere all’ottimismo. Intanto perché gli Stati Uniti non rinunceranno facilmente allo «shale oil» e allo «shale gas» – i combustibili fossili estratti dalle rocce – con cui hanno di fatto raggiunto l’autosufficienza energetica e difficilmente. E se gli Usa non impegnano a ridurre in maniera sostanziale le loro emissioni di gas serra, molto difficilmente lo faranno la Cina e gli altri Paesi a economia emergente. Se anche la « locomotiva Europa» da l’impressione di non credere fino in fondo nella «green economy» e di rallentare, l’accordo globale sul clima rischia di diventare un miraggio e di affondare nella Senna.