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Bagnore 4: Gli operai srotolano le strisce di prato sul dorso del poggio…

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…nel declivio che conduce alla centrale.

Fonte: Il Tirreno, Cronaca di Grosseto

Autore: Francesca Ferri

Ci verrà un giardino terrazzato dal quale parte una lunga passerella in legno che costeggia l’impianto e si butta nel panorama della vallata. «Ogni anno 60.000 persone visitano le nostre centrali. E qui faremo un percorso fruibile a tutti che permette di vedere tutte le componenti e i processi della centrale», dice Massimo Montemaggi, responsabile geotermia per l’Italia e l’Europa di Enel green power. Che non ha occhi che per lei. Ed eccola qui l’ultima nata delle centrali geotermiche di Enel green power sull’Amiata, Bagnore 4, un impianto due volte più potente della “vecchia” Bagnore 3 – a un tiro di schioppo da qui – con i suoi 40 Megawatt di potenza e i suoi quattro pozzi (due di estrazione e due di reiniezione). Un cuore pulsante di acciaio, valvole, enormi nuvole di vapore, un groviglio di tubi proiettati nella vallata: cento anni di storia della geotermia sono concentrati qui, nella centrale «modello nel mondo, per efficienza e innovazione», la definisce Montemaggi; nell’impianto più contestato e criticato che l’Amiata ricordi, a giudizio degli ambientalisti. Centoventitré milioni di euro per costruirla, quasi dieci anni dal momento in cui Enel fece richiesta per realizzarla fino all’entrata in funzione (a dicembre 2014), Bagnore 4 – che prende il nome dalla vicina frazione del comune di Santa Fiora – è “sopravvissuta” a un ricorso al Tar, che nel marzo 2014 ne bloccò l’autorizzazione, e alle trentotto prescrizioni su vari ambiti tematici della Via inviate dalla Regione. Oggi la centrale funziona a pieno ritmo e, insieme alle altre quattro centrali Enel green power sull’Amiata (tre a Piancastagnaio più la già citata Bagnore 3) permette all’ex vulcano di produrre 140 Megawatt l’ora dalla risorsa geotermica. La sola Bagnore 4 è in grado di generare fino a 310 milioni di Kilowattora all’anno. La prima cosa che colpisce della centrale è l’assenza del personale. In giro non si vede nessuno, non ci sono operai, nessuna ombra dei megaparcheggi che di solito affiancano le fabbriche. La centrale sembra andare da sola. Sembra… Bagnore 4, assicura l’Enel, occupa circa 40 persone tra addetti diretti e indiretti, ma non ne ha neanche uno fisso. «Tutte le centrali sono comandate da Larderello» spiega Montemaggi mentre apre la porta della sala quadro, il “cervello” della centrale. All’interno, oltre a Giampaolo Vecchieschi, responsabile dei rapporti con gli enti per Enel green power, c’è Roberto Bisconti, responsabile per gli impianti di Piancastagnaio e Bagnore, che con Domiziano Menichetti, capoteam per gli impianti di Bagnore, è una delle anime umane dell’impianto. A loro spetta la supervisione e il controllo sul campo, a partire da qui, quattro scrivanie, tre computer e due stanzoni di macchinari, server, centraline. Questo il cervello di Bagnore 4. La “pancia” è invece in un enorme capannone dall’anima meccanica che “digerisce” a ciclo continuo il vapore e lo trasforma in energia elettrica. Il funzionamento, tutto sommato, è semplice: il vapore generato dal fluido caldo fino a 3.000 metri sottoterra viene succhiato due lunghissimi tubi in due pozzi ad alcuni chilometri di distanza dall’impianto. «In vent’anni – spiega Montemaggi – ne faremo al massimo altri due». Attraverso i vaporodotti viene portato alla centrale dove finisce in una turbina collegata a un generatore che ne ricava energia meccanica e poi energia elettrica. Finito il suo giro, viene convertito in acqua in un condensatore. L’acqua viene a sua volta in parte raffreddata e reiniettata nel sottosuolo, dopo aver percorso altri chilometri di tubi, lontano dalla centrale, e in parte lasciata calda e usata per il teleriscaldamento di case e aziende della zona (ad esempio il salumificio Gsi, che produce per grandi marchi italiani). Un’altra parte dello “scarto” di lavorazione viene liberata in atmosfera sotto forma di vapore. Intorno al nucleo coperto dell’impianto c’è un groviglio di tubi che salgono e scendono, tenuti a bada da imponenti manometri. Ad alcuni metri di distanza c’è la struttura che contiene le torri di raffreddamento. Dalle pareti piove giù acqua; altra acqua, sotto forma di vapore, viene liberata in atmosfera, dopo essere passata da filtri che trattengono alcuni inquinanti. Le scale che portano sul tetto costeggiano una parete realizzata in acciaio Corten, con effetto arrugginito, meno impattante per gli occhi. In cima, enormi camini che sputano vapore e uno sguardo a perdita d’occhio sulla brulla vallata attraversata dai vaporodotti, con il paesino di Bagnore in un angolo. «Solo in poche parti della Terra la risorsa geotermica, cioè il calore – spiega Montemaggi – si può usare in maniera efficiente, perché servono due requisiti: la circolazione di acqua e i terreni impermeabili. E questi non si trovano facilmente». Enel, in un secolo di attività è riuscita a trovarla in Nevada, nello Utah, in Salvador, in Cile. E in Toscana, a Larderello e sull’Amiata. «Siamo stati il primo operatore al mondo a fare geotermia – spiega Montemaggi – partiti nel 1904 coi primi esperimenti legati alla produzione di elettricità. Dopo di noi vengono i neozelandesi, che iniziarono a occuparsene dopo che alcuni ufficiali, durante l’avanzata del fonte nella Seconda guerra mondiale, passarono per Larderello e videro i campi geotermici». Oggi la geotermia Enel green power ha in Toscana una capacità installata di 761 Megawatt e copre quasi il 30 per cento del fabbisogno energetico regionale. «A livello mondiale – spiega Montemaggi – siamo il secondo produttore dopo gli indonesiani, ma siamo i migliori dal punto di vista tecnologico perché copriamo tutta la catena del processo: ricerca, sviluppo, progettazione, esplorazioni, costruzione, esercizio degli impianti. E cerchiamo di far nascere nuove imprese trasferendo il know how negli ambiti che ci interessano».