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Integrare le fonti con gli impianti geotermici ibridi

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Il caso del centro direzionale di Vercelli

Fonte: Canale Energia.com

Autore: Ing. Chiara Canavero

Vengono definite “impianti geotermici ibridi” le installazioni in cui coesiste insieme con la geotermia a bassa entalpia un’altra fonte energetica e in cui sia possibile modulare la potenza e l’energia prodotte con l’una o con l’altra fonte in proporzioni variabili. Generalmente, l’accoppiamento avviene con chiller ad aria per il raffrescamento e con caldaie tradizionali o pompe di calore ad aria per il riscaldamento.

Scopo dell’ibridazione è ridurre i costi di installazione rispetto alla soluzione geotermica “pura” e garantire uno sfruttamento ottimale del terreno equilibrando i carichi termici in riscaldamento e raffrescamento.

Per approfondire l’argomento prendiamo come esempio il progetto di Geoenergia S.r.l. per un grande centro direzionale a Vercelli. L’edificio ha un fabbisogno termico di 600 kWth in riscaldamento, di 970 kWth in raffrescamento e di 65 kWth per la produzione di ACS. Il forte sbilanciamento tra caldo e freddo fa di questo edificio un caso ideale per l’installazione di un impianto geotermico ibrido.

Lo sviluppo del progetto tale sistema inizia con la definizione della frazione del carico che dovrà essere soddisfatta dalla geotermia rispetto al totale, sia in termini di potenza sia in termini di energia. Lo studio, specifico per ogni installazione, prende in considerazione aspetti diversi quali: le medie climatiche del sito, le caratteristiche termiche, geologiche e idrogeologiche del sottosuolo, i carichi termici richiesti dall’utenza, la destinazione d’uso dell’edificio, le esigenze della committenza, l’offerta tecnica del mercato, i costi di investimento delle diverse tecnologie considerate, la disponibilità economica del committente e ogni peculiarità specifica del caso in esame.

La soluzione ottimale per il caso di Vercelli è risultata essere una sezione geotermica con 60 sonde verticali da 100 metri di profondità che alimentano 2 pompe di calore a 4 tubi da 300 kWth ciascuna; la centrale termofrigorifera si completa con una pompa di calore aria-acqua reversibile da 490 kWth e un chiller condensato ad aria da 480 kWth.

Confrontando la soluzione a progetto con l’ipotesi geotermica “pura”, si nota come, per fornire con la geotermia la stessa energia e la stessa potenza in raffrescamento mantenendo le stese condizioni nel terreno, sia necessario installare più del quadruplo delle sonde rispetto alla soluzione ibrida. In questo modo si ottiene, però, un forte sbilanciamento verso il raffrescamento e un sovradimensionato dell’impianto in inverno e nelle condizioni di carico base; questo non consente di sfruttare interamente la potenzialità messa a disposizione dal terreno e vanifica così quasi interamente i benefici apportati dall’installazione di un numero maggiore di sonde. Il costo di installazione risulta così elevato da non poter essere ammortizzato.

Confrontando, poi, la soluzione ibrida con due configurazioni tradizionali (caldaie più chiller ad aria; PdC ad aria a 4 tubi più chiller) si nota come il maggiore costo di investimento per l’installazione della sezione geotermica viene assorbito in entrambi i casi in circa 10 anni, grazie ai ridotti costi di esercizio, e al 20° anno di funzionamento il costo evitato è rispettivamente di circa 170.000 € e di circa 300.000 €.

Il cuore di ogni impianto ibrido è rappresentato da un sistema di regolazione complesso, costituito da una centralina studiata ad hoc che gestisce i singoli elementi del sistema stabilendo la combinazione di macchine che deve essere attivata a seconda del set di condizioni al contorno che si presentato in un dato momento. In questo modo si è in grado di garantire le migliori prestazioni possibili anche in condizioni lontane da quelle di progetto e di preservare allo stesso tempo la risorsa geotermica affinché questa possa essere sfruttata appieno durante l’intera vita utile dell’impianto.

Il controllo opera su due orizzonti temporali: uno di breve termine, basandosi sull’analisi del fabbisogno istantaneo dell’utenza, tenendo conto delle condizioni climatiche esterne; e uno di lungo termine, lavorando sia a consuntivo sia in ottica previsionale, basandosi sui carichi termici sul campo e su una scala temporale annuale. A questi si aggiungono i vincoli di sicurezza per il terreno e per le macchine.

In conclusione, gli impianti ibridi, grazie allo sfruttamento di fonti energetiche rinnovabili in accoppiamento con fonti tradizionali, sono sistemi in grado di adattarsi continuamente all’evolversi delle condizioni di utilizzo richieste come nessuna soluzione tradizionale “pura” potrebbe fare. I risultati di questo tipo di gestione delle fonti sono apprezzabili sia dal punto di vista energetico-ambientale, grazie a una riduzione dei consumi e, quindi, delle emissioni in atmosfera, sia dal punto di vista economico, grazie a un risparmio consistente sulla bolletta energetica e, quindi, a un payback time contenuto.

Ing. Chiara Canavero, Thermal engineer – divisione GSHP – Geoenergia s.r.l.