Home Geotermia Storia della geotermia – dalle origini al 1943…

Storia della geotermia – dalle origini al 1943…

© immagine: A.Burgassi

“…versan le vene le fummifere acque
per li vapor che la terra ha nel ventre,
che d’abisso le tira suso in alto”
(Dante Alighieri, Vita Nova)

“… L’odore sulfureo, la nebbia del bollore, il sibilo e il rugghio annunziarono la valle infernale.”
(Gabriele D’Annunzio, “Forse che sì, forse che no”

Sin dall’alba dei tempi l’Uomo ha guardato ai fenomeni naturali con timoroso rispetto, imputandoli quasi sempre ai mutevoli umori di forze divine al di là della comprensione dei mortali.

Così le piene del Nilo erano manifestazioni della benevolenza divina degli dei dell’Antico Egitto, mentre lampi e fulmini rappresentavano la furia del collerico Zeus o di Thor, il dio norreno del tuono e del lampo reso famoso dai fumetti (prima) e dal cinema (poi).

Non sorprende quindi che a questo timore reverenziale si accompagnassero sentimenti quali paura, timore, rispetto, financo adorazione.

Adorazione che spingeva all’edificazione di templi e – tanto per fare un esempio – complessi sacro-termali dedicati a divinità benigne dai poteri lenitivi e curativi.

Il complesso sacro-termale di Sasso Pisano, nel comune di castelnuovo Val di Cecina (PI) © immagine:Edatoscana su Wikimedia

Come nel caso del complesso etrusco-romano di Sasso Pisano, sorto proprio in prossimità di alcune emergenze acquifere calde, che si trovava – probabilmente, secondo alcune teorie – nell’itinerario termale denominato Aqua Volaternas raffigurato nella Tabula Itineraria Peutingeriana conservata presso la Hofbibliothek di Vienna (in Austria).

La Tabula Itineraria Peutingeriana

Oppure, nel caso di emissioni ed emergenze più forti, potevano sorgere templi dedicati a divinità molto meno rassicuranti.

È il caso, ad esempio, di Hierapolis (città santa), insediamento ellenistico-romano della Frigia, le cui rovine si trovano nell’odierna località di Pamukkale nella provincia di Denizli in Turchia, famosa per le sue sorgenti calde di origine geotermica che formano concrezioni calcaree.

Una ricostruzione 3D del Plutonium di Hierapolis

Qui era un tempio – il Plutonium – dedicato al dio degli Inferi, localizzato all’interno di una grotta.

Durante i sacrifici rituali gli animali morivano, i sacerdoti no: duemila anni fa solo le forze soprannaturali potevano spiegare questi fenomeni legati alle profondità dell’Ade, mentre oggi sappiamo che ad ucciderli era una concentrazione di CO2 proveniente dal sottosuolo particolarmente elevata in quel luogo (anche fino al 91%) a causa del degassamento.

Il fenomeno naturale, si localizzava entro poche decine di centimetri dal terreno e quindi sufficiente ad uccidere gli animali lasciando indenni i sacerdoti che, rimanendo in piedi, avevano le proprie vie respiratorie situate più in alto.

È dunque facile immaginare come il territorio ove oggi sorge Larderello potesse essere scambiato per uno di questi ingressi all’Ade: sbuffi di vapore, fango ribollente, aria pestifera e caratterizzata da persistenti odori sulfurei, assenza di alberi o vegetazione: tutto contribuiva a incutere il timore di incontrare anche troppo da vicino un demone cornuto o di addentrarsi in luoghi dai quali sarebbe stato complicato poi fare ritorno.

Cerbero, (Gustave Doré)

Forse non a caso alcuni sostengono che il vicino borgo medioevale di Montecerboli, distante solo un chilometro dall’infernale sito, prenda il nome non tanto dal cervo che appare nello stemma araldico, quanto dalla leggenda che vedeva il tricefalo cane Cerbero a guardia delle porte dell’Inferno: “mons cerberis”, “monte di Cerbero”, quindi, e non “monte del Cervo”.

Eppure, come abbiamo visto, sin dall’epoca etrusco-romana, i derivati della geotermia erano noti ed apprezzati per la preparazione di materiali edili, ceramiche, smalti, coloranti, medicinali (sia per uso umano che animale), vetri, abrasivi, e l’elenco potrebbe continuare quasi all’infinito.

Un’era di sviluppo che tuttavia era destinata a ricevere una battuta d’arresto con il declino dell’Impero Romano e il MedioEvo.

Possiamo dire, infatti, che con l’avvento del Rinascimento e la riscoperta delle scienze farmaceutiche e curative, nonché della cosmetica, il rinnovato interesse per le scienze alchemiche – almeno per quanto riguarda le aree toscane – lo sfruttamento dei sottoprodotti geotermici cominciò a registrare un nuovo sviluppo.

L’Allume, il Vetriolo verde e il Vetriolo blu, le “palle da cani” (usate per la cura delle malattie della pelle e delle piaghe degli animali) definite “…pallottole fatte d’una certa terra che ricavasi dai fumacchi della maremma volterrana, e di cui si fa uso per le malattie eruttive delle pecore, de’ cani, e simili” (Vocabolario Universale Italiano, ed.Tramater & c. 1835), portarono ad una maggior razionalizzazione nell’approccio e ad una progressiva perdita della maggior parte dei superstiziosi timori.

L’Acido Borico era, tra i sottoprodotti geotermici, uno tra i più pregiati, perché sino ad allora derivato dalla lavorazione di minerali provenienti dalla Turchia (probabilmente la colemanite).

Gli esordi dell’industria chimica.

© immagine: A.Burgassi

Proprio il forte uso farmaceutico delle sostanze legate alla geotermia rende meno sorprendente che a scoprire la presenza di acido borico all’interno di un lagone naturale sia stato proprio, nel 1777, il soprintendente alle Farmacie Granducali di Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, ovvero Uberto Francesco Hoefer.

Paolo Mascagni

Scoperta che venne poi confermata due anni dopo da Paolo Mascagni, medico, chimico,  fisiologo, anatomista e docente presso l’Università di Siena originario, a onor di cronaca, proprio di un comune geotermico, ovvero Chiusdino.

La Valle del Diavolo sarebbe stata, da questo momento in poi, molto diversa.

D’improvviso, infatti, l’area divenne di grande interesse, con un potenziale industriale sino a quel momento quasi inesplorato e a disposizione di chi avesse avuto sufficiente lungimiranza per guardare avanti.

Francois Jacques Larderel

Oggi diremmo che era il momento giusto per impiantare una startup rampante, aggressiva nei confronti del mercato, ed è proprio quello che un giovane imprenditore di origine francese, Jacques François Larderel, decise di investire, insieme ad alcuni soci, del capitale per creare una società vocata all’estrazione del prezioso materiale.

Nacque così nel 1818 la Chemin-Pratt-La Motte-Larderel.

La grande disponibilità della materia prima – seppure grezza – creava i presupposti per soddisfare una grande domanda, e, di conseguenza, aspettative di veloce sviluppo che, tuttavia, si sarebbero scontrate con alcune problematiche.

Se infatti i primi anni videro una affermazione della società all’interno del mercato, alcune circostanze videro succesivamente una contrazione notevole dei profitti.

Il processo di estrazione dell’Acido Borico era infatti, nelle forme realizzate sino ad allora, estremamente energivoro, necessitando di grandi quantità di calore per consentire il deposito del borace, e quindi un continuo approvvigionamento di legna da ardere per le grandi caldaie.

Approvvigionamento che, a causa anche dei grandi costi di trasporto,  stava cominciando a divenire oneroso.

Raffigurazione del Lagone Coperto

Nel 1827, quindi, Chemin, Pratt e La Motte si sfilarono dal progetto, mettendo in vendita le proprie quote che vennero, quasi con un colpo di mano, rilevate dal solo Larderel che, invece, aveva rinnovato la propria fiducia in quell’impresa attraverso il concepimento di un’idea ingegneristica rivoluzionaria: il Lagone Coperto.

L’idea, in sé era semplice, quasi l’uovo di Colombo.

In pratica, il calore necessario ad alimentare il processo termico era fornito direttamente dal vapore e dalle acque geotermiche, attraverso un sistema di fasi e canalizzazioni.

Una fonte energetica praticamente inesauribile, disponibile in loco, in prossimità della materia prima da lavorare e praticamente a costo zero: il sogno di ogni imprenditore.

Il sistema, unito ad una lungimiranza che portò Larderel a continuare ad investire in innovazione (i Lagoni Naturali in cascata; le Caldaie Adriane; etc.), condusse ad una crescita vertiginosa della produzione: dalle 88 tonnellate anno del 1828 alle 125 tonnellate/anno del 1840, e alle 650 del 1842 per arrivare, nel 1850, ad una produzione che oltrepassava le 1.000 tonnellate/anno.

Uno sviluppo industriale che condusse anche (parallelamente all’acquisto dei terreni ove era manifesta la presenza dei lagoni e delle risorse idriche) alla creazione di veri e propri villaggi/fabbrica nei pressi delle aree urbane del territorio o, in alcuni casi, come Larderello, alla creazione di veri e propri centri abitativi ex-novo.

Un’azienda che quindi portò nuova vita all’interno di un’area altrimenti a vocazione – diremmo oggi – agrosilvopastorale.

Un successo e dei risultati che non passarono affatto inosservati, tanto che lo stesso Granduca di Toscana, Leopoldo II, lo elevò allo stato nobiliare, conferendogli il titolo di conte di Montecerboli (da questo momento potrà aggiungere il patronimico de prima del proprio cognome: de Larderel), e imponendo, nel 1846, all’insediamento abitativo sorto intorno alla prima fabbrica, il nome derivato dal cognome del suo fondatore: era nato Larderello.

Da imprenditore moderno, Larderel comprese che il benessere dei lavoratori ne aumentava grandemente l’efficienza, perché un dipendente felice era un dipendente che svolgeva bene il proprio compito.

La formazione cattolica (e probabilmente, ipotizziamo, l’adesione ai principi del cattolicesimo liberale i cui maggiori esponenti erano LamennaisMontalambert e Lacordaire) fecero sì che nelle aree delle fabbriche di Larderel vigessero una serie di regole che, probabilmente, non conoscevano precedenti.

Mentre nel resto d’Europa, infatti, non era uno scandalo impiegare minori nei lavori più duri (basti pensare alla novella di Rosso Malpelo di Giovanni Verga, pubblicata nel 1878, in cui si descrive la realtà comune del lavoro minorile nelle miniere della Sicilia) a Larderello erano istituzionalizzati provvedimenti a beneficio dei lavoratori a dir poco straordinari: istruzione minorile, cure mediche e farmaceutiche, assistenza alle vedove dei caduti sul lavoro, solo per citare alcuni dei capisaldi del Regolamento dello Stabilimento che lo stesso De Larderel volle per regolamentare la vita del villaggio-fabbrica: dagli operai ai “ministri”, sino ad arrivare al medico, il farmacista e persino al cappellano.

Qui alcuni dei provvedimenti resi disponibili agli operai del villaggio fabbrica secondo una tabella presentata da Florestano de Larderel in una propria presentazione (*):

  • Abitazioni gratuite
  • Telai per le donne e le ragazze
  • Assistenza medica e somministrazione gratuita dei farmaci
  • Carne nei tre mesi d’estate agli operai e rispettive famiglie nelle fabbriche soggette a malaria
  • Bagni di mare dietro indicazione medica
  • Pensioni nella vecchiaia degli operai e alle vedove
  • Ammissione degli orfani al lavoro
  • Baliatico nei casi di morte e di incapacità della madre all’allattamento
  • Istruzione elementare maschile e femminile
  • Materassi di lana alle ragazze che andavano spose

Accanto ai progressi scientifici in ambito chimico, si evolveva anche la tecnica e la tecnologia legata all’estrazione dei fluidi geotermici che non conosceva precedenti al mondo: dalle prime trivelle a mano del 1828 si passò alle verghe artesiane, poi a quelle a percussione, che consentirono di raggiungere profondità che si attestarono, alla fine del XIX secolo, intorno ai 250-300 metri.

(*) Patrizia Papini, Larderello: Il Villaggio e la Comunità, in “Il calore della Terra”, AA.VV. a cura di Mario Ciardi e Raffaele Cataldi , Ed.ETS 2005

Geotermia per produrre elettricità.

Il Principe Piero Ginori Conti nell’esperimento che dette inizio all’era geotermoelettrica

La disponibilità di fluidi ad alta pressione ed alta temperatura spinse il Principe Piero Ginori Conti (marito di una delle figlie del conte Florestano de Larderel), neo direttore degli stabilimenti, ad avviare un fitto programma di studi per indagare e verificare la possibilità di usare il vapore geotermico per la produzione di elettricità.

Il 4 Luglio 1904, nel corso di un esperimento pubblico, vennero accese le prime cinque lampadine, utilizzando un piccolo scambiatore di calore alimentato dal fluido di un pozzo di Larderello, un motore a pistoni e una dinamo da 10 kW, .

Era iniziata l’era elettrica della geotermia.

Il successo dell’esperimento portò alla creazione di un binario di ricerca autonomo dedicato a questo nuovo impiego della geotermia, anche e sopratutto per creare le basi per un utilizzo multiplo dei fluidi geotermici: produzione chimica e generazione di elettricità.

Oggi la chiameremmo diversificazione.

Entro il 1908, con la costruzione di due piccole centrali da poche decine di kW, tutti gli impianti industriali e la maggior parte degli insediamenti civili di Larderello risultavano elettrificati.

È tuttavia nel 1913 che entrò in funzione la prima centrale (Larderello 1) che potesse realmente fregiarsi di questo nome: dotata di una turbina da 250 kW, consentì di elettrificare tutti gli impianti chimici dell’azienda, i principali edifici pubblici di Larderello e la maggior parte dei centri abitati dell’area boracifera.

Nello stesso anno venne iniziata la costruzione della prima linea elettrica alimentata da energia geotermoelettrica al mondo che collegava Larderello a Volterra, elettrificando, oltre ai complessi produttivi presenti sul percorso, anche alcune residenze private.

La capacità imprenditoriale di Ginori Conti permise all’industria boracifera di Larderello di continuare a crescere, adottando nuove tecnologie di perforazione (primo fra tutti l’adozione del sistema rotary); diversificando la produzione chimica con nuovi prodotti (borotalco, perborato sodico, acido crbonico, etc.) e ampliando di conseguenza i mercati di riferimento; sviluppando gli usi diretti della frazione calore attraverso l’implementazione di riscaldamenti abitativi e aziendali, serre, impianti agricoli di proprietà dell’industria di Larderello; dando impulso alle tecniche geoscientifiche per la rilevazione, l’identificazione e la caratterizzazione della risorsa geotermica; continuando ad investire nello sviluppo e nella ricerca tese ad aumentare la capacità di generazione elettrica da geotermia.

L’industria geotermoelettrica crebbe notevolmente passando dai 7 MW (tutti ciclo indiretto) del 1916 sino ad arrivare agli 11,9 MW (7 a ciclo indiretto e 4,9 a ciclo diretto) del 1930, per arrivare al 1943, quando la capacità totale installata nella zona boracifera risultava 126,8 MW.

La guerra, tuttavia, era destinata a dare una grande battuta d’arresto allo sviluppo dell’industria geotermica italiana.

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