Home Cosvig Sette miliardi per l’energia verde

Sette miliardi per l’energia verde

677
0
CONDIVIDI
Qualche anno fa, il tonno in scatola per migliorare le vendite aggiungeva la scritta (tempestata da una grandinata di punti esclamativi): nuova confezione, più facile da aprire. Oggi invece bisogna aggiungere una scritta diversa: ecologico (segue la grandinata di punti esclamativi).

Fonte: Il Sole 24 Ore

Autore: Jacopo Giliberto

Qualche anno fa, il tonno in scatola
per migliorare le vendite aggiungeva la scritta (tempestata da una
grandinata di punti esclamativi): nuova confezione, più facile da
aprire. Oggi invece bisogna aggiungere una scritta diversa: ecologico
(segue la grandinata di punti esclamativi). Se il prodotto non è
“ecologico”, non vende. Per distinguersi dalla massa
anonima, ogni prodotto di consumo deve aggiungere una valenza
ambientale. Perfino la corrente elettrica, come insegna il caso della
Sorgenia che fa dell’energia pulita il punto di forza della sua
campagna di comunicazione. La sensibilità dei consumatori (cioè
degli italiani) è cambiata. Tranne poche aziende anticipatrici che
hanno ormai anni di esperienza “verde”, anche il sistema
industriale da qualche anno ha dovuto assecondare questa tendenza
sociale per dare ai consumatori prodotti più graditi in chiave
ambientale. Poi ci sono le leggi e le direttive che impongono
prodotti a impatto ambientale sempre più basso. Un camion costruito
oggi – ricorda Ottavio Gioglio, direttore generale mercato Italia
dell’Iveco – inquina quaranta volte meno di un camion di dieci anni
fa.

Quanto vale questo mercato? Non è
calcolabile. Non si può contare quanto valgono riconoscimenti: come
la crema per le mani della, Kaloderma che un mese fa ha vinto l’Oscar
dell’Istituto italiano dell’imballaggio perché il tubetto è
prodotto con plastiche di riciclo. Non è calcolabile il valore di
mercato rappresentato dal repertorio delle 199 invenzioni ecologiche
italiane che fanno breccia all’ estero raccolte nel libro «Design
italiano per la sostenibilità» di Marco Capellini, libro pubblicato
in questi giorni dal ministero dell’Ambiente. Né si possono sommare
le biciclette elettriche con le caldaie ad assorbimento a gas della
Robur di Benito Guerra: partendo dall’officina di famiglia a Bollate,
Guerra è diventato uno dei maggiori produttori di impianti per
riscaldare le ” fabbrichette ” dell’Italia del boom
industriale e oggi ha prodotti con rendimenti ambientali così
eccezionali che viene invitato negli Stati Uniti a spiegare come
produrre energia senza sprecare risorse.

Se il mercato nel suo complesso non è
censibile perché i suoi confini sono impalpabili, una delle poche
esperienze che sono censibili in modo dettagliato è quello
dell’energia da fonti rinnovabili, che nel 2007 è stata pari – fonte
Terna – a 21.117,2 megawatt idroelettrici, 2.788,6 solari ed eolici e
670,7 megawatt geotermici. Secondo i dati diffusi giovedì dal
Gestore dei servizi elettrici, risultano installati nel solo anno
passato 31mila impianti solari pari a una potenza di 418 megawatt,
concentrati (assurdo, dal punto di vista climatico) in Alta Italia
(Lombardia ed Emilia Romagna hanno il 27% dell’intero Paese).
L’Italia così è terza al mondo per impianti fotovoltaici installati
nel solo 2008, mentre è quinta nel mondo dopo Germania, Spagna,
Giappone e Stati Uniti con 443 megawatt per potenza fotovoltaica
installata in totale negli anni.

Il più grande produttore è – ovvio –
l’Enel (3,7 miliardi di investimenti in 5 anni), ma Sorgenia conta
già 40 megawatt idroelettrici, 30 eolici (altri 450 sono in
programma), 13 megawatt solari (altri 50 in budget) e un megawatt in
biomasse (altri 40 in realizzazione), per investimenti nell’ordine di
2 miliardi di’euro. L’Edison fa molta leva anche sull’efficienza
energetica, che è uno dei settori del suo business, ma rappresenta
già oggi circa l’8% della produzione eolica italiana e ha in
programma 1,3 miliardi di investimenti. In totale, 7 miliardi di
finanziamenti. Secondo l’associazione dei produttori di energia da
fonti rinnovabili Aper, le centrali a biomasse sono più di 500.
Alcune aziende, come quelle citate sopra, sono note a tutti i
consumatori, altre invece sono grossissime eppure meno conosciute,
come la Fri-el, l’Ivpc e l’Intemational power.

Fuori dal comparto elettrico, fa leva
sul business dell’ambiente per esempio la Mossi&Ghisolfi: azienda
chimica leader mondiale nella produzione di bottiglie di Pet per
bibite gassate, investe a Rivalta Scrivia (Alessandria) nella più
grande bioraffineria italiana che produrrà alcol per motori partendo
dalla canna comune. La Cannon di Trezzano sul Naviglio era nata
producendo macchine per le imbottiture di poliuretano (la
“gommapiuma” di divani e sedili): dopo l’esperienza delle
nuove tecnologie salva ozono, è diventata una delle aziende che
esportano in tutto il mondo tecnologie ambientali così avanzate che
le compra perfino la Toyota per allestire le sue automobili. Da
Rivoli (Torino) l’Asja Biz fondata da Agostino Re Rebaudengo realizza
in tutto il mondo impianti per ricuperare energia da ogni fonte
possibile, compreso il letame degli allevamenti cinesi di maiali.

Nel settore delle auto, ecco il
progetto «Aria nuova» dedicato alle tecnologie e alle soluzioni per
una mobilità sostenibile; si terrà a Monza dall’11 al 14 giugno.
Molte le imprese attive: dall’Iveco ha una gamma completa di camion e
furgoni a metano (mentre stanno per arrivare quelli a
metano e benzina) fino alla Pirelli Eco Technologies con il
filtro antiparticolato per motori diesel che, afferma Bruno
Tronchetti Provera, «consente di abbattere le emissioni non
solamente sui camion nuovi, mia può essere applicato anche ai mezzi
vecchi per circolare anche là dove ci sono vincoli alle emissioni».
Ma c’è anche chi crea ecoimprese partendo da zero. Roberto Peia ha
inventato il pony express ecologico in bicicletta. Si chiama Ubm
(Urban bike nessengers, indiriz zoweb www.urbanbm.it).
Peia fondatore, è anche il primo fattorino di un nucleo di
irriducibili pedalatori: in sella alla sua bici, Peia consegna plichi
in tutta Milano, «e in un battibaleno perché non abbiano zone
chiuse alle bici». Un segnale di come cambia la sensibilità: l’Ubm
ha una lista d’attesa di 250 persone che vogliono diventare bici
fattorini, da pensionati a neolaureati che preferiscono pedalare
piuttosto che seppellirsi in un call-center.