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Italia, 10 cents a testa al giorno di incentivi per le rinnovabili: ridurli o aumentarli?

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10 centesimi di euro al giorno a persona. Questa, secondo le stime presentate oggi al convegno “Visioni e frontiere delle energie rinnovabili”, tenutosi a Firenze, la quota giornaliera che ogni cittadino italiano paga per incentivare le rinnovabili.

Fonte: Greenreport.it

Autore: Riccardo Mostardini

Un
calcolo che deriva dalla somma degli incentivi che ogni anno lo Stato
eroga per lo sviluppo delle Fer: attualmente (2008) circa 1,7
miliardi di euro, secondo Luigi
de Paoli

dell’università Bocconi. Questo valore (più precisamente 1.707
milioni, suddivisi in 932 milioni per la quota Fer nel Cip6, 115 dal
conto energia per il fotovoltaico, 660 dai certificati verdi) è
destinato a crescere, secondo le diverse stime presentate oggi, fino
a 7 miliardi/anno (stima di Roberto
Malaman
,
direttore dell’autorità per l’energia elettrica e il gas) e fino
a 10 mld/anno secondo de Paoli.

Il
motivo della prevista crescita degli incentivi è legato
all’incremento che, in conseguenza della rivoluzione che sta
investendo il settore e soprattutto in ottemperanza agli obiettivi
posti in sede europea con l’approvazione del pacchetto 20-20-20
(che per l’Italia si tradurrà, secondo gli accordi, nel
raggiungimento di una quota-rinnovabili del 17% della torta
energetica) è atteso nel settore delle Fer: solo per citare qualche
dato (la prossima settimana ritorneremo ampiamente sulle molteplici e
stimolanti questioni affrontate oggi da alcuni dei massimi esperti
nel settore) basta pensare alle previsioni di crescita dell’eolico
nazionale (1718 Mw installati oggi, 12.000 previsti nel 2020), del
solare nelle sue tre attuali declinazioni (fotovoltaico, termico e
termodinamico, dai 35 Mw installati attuali a 9500 nel 2020) e
dell’energia da biomasse, stimata raddoppiare dagli attuali 1.200
Mw a 2.400.

Sostenibilità
economica vs sostenibilità ambientale nello sviluppo delle Fer,
quindi: questo è stato tra i temi predominanti dell’incontro
odierno, coordinato da Riccardo
Varaldo

(presidente scuola s. Anna di Pisa) e a cui hanno preso parte, tra
gli altri, Luigi
Paganetto

(presidente Enea), Carlo
Bollino

(presidente Gse) e Luciano
Barra
,
capo del dipartimento energia presso il ministero dello Sviluppo
economico, in sostituzione del ministro Scajola che, contrariamente
alle previsioni, non ha preso parte al convegno.

La
posizione (ben nota, anche in seguito all’approvazione del ddl
Sviluppo nel suo passaggio alla camera, avvenuta il primo luglio) del
ministro Scajola, comunque, è stata ripetuta in maniera netta da
Barra: «il primo criterio è l’equilibrio» – ha esordito – «vanno
superati quei ragionamenti che pongono come tra loro alternativi lo
sviluppo del nucleare, delle rinnovabili e dell’efficienza
energetica», e occorre quindi agire in una logica integrata. Una
posizione che, non c’è bisogno di ribadirlo, appare cieca davanti
alla ovvia constatazione che la coperta (dei finanziamenti, degli
incentivi, della ricerca, delle motivazioni politiche e culturali, e
così via) è corta, e che quindi – volendo fare un esempio – ogni
centesimo dato alla ricerca sul nucleare è un centesimo in meno dato
alla ricerca sulle Fer.

E
va anche detto che nel suo intervento Barra ha citato (giustamente)
l’enorme differenza, in termini di quella che possiamo definire
come “concentrazione di energia”, che caratterizza, allo stato
attuale della tecnologia, le Fer e il nucleare: «se volessimo
produrre la stessa elettricità data da un reattore sul tipo di
quelli Edf francesi con il fotovoltaico, occorrerebbe installare 3
milioni di impianti fv domestici da 3 kw». Ora, kw più kw meno, la
stima sembra attendibile: ma a questo punto sarebbe stato giusto
chiarire alla platea (prevalentemente composta da operatori del
sistema produttivo e finanziario) anche le esternalità negative
rappresentate dal nucleare in termini di costi non evidenti
(soprattutto gli incentivi, che sapientemente non sono mai stati
nominati ma, come sappiamo, sostengono l’energia nucleare in
qualunque paese abbia deciso di adottarla), rischi e problemi
territoriali (scorie, messa in opera centrali, eccetera).

E
invece niente, si spiega perché il nucleare è vantaggioso (e per
certi versi ciò è anche vero), ma non se ne spiegano gli svantaggi:
esattamente la stessa logica e la stessa impostazione tendenziosa con
cui vengono presentate al paese le nuove scelte energetiche che il
Governo intende perseguire. Comunque, riguardo alle Fer e in generale
alle nuove strategie energetiche del Belpaese, Barra ha spiegato che
la strategia del ministero in materia prevede il «privilegiare
l’efficienza energetica, poiché sarebbe paradossale incentivare
tecnologie che poi vengono utilizzate male», e sostenere lo sviluppo
di una vera industria italiana per le rinnovabili, con particolare
focus sullo sviluppo di tecnologie caratterizzate da un minore
impatto sul paesaggio, questione che nel nostro paese «rappresenta
un grosso problema politico, e su cui l’industria italiana potrebbe
dire la sua». Inoltre, Barra ha citato quello che ritiene un punto
di forza del settore: «le rinnovabili possono essere idonee meglio
di altre alle caratteristiche del sistema produttivo dell’Italia»,
poiché la tipica diffusione non centralizzata che caratterizza le
Fer «è adatta alla cultura della piccola-media impresa (più alla
media che alla piccola) che predomina nel paese.

Barra
ha poi citato il ruolo di industria 2015, e il programma Ue («che
dovrebbe partire a breve») con risorse per 1600 milioni di euro che
dovrebbero essere destinate in gran parte allo sviluppo delle filiere
di produzione di componenti per impianti a rinnovabili. Innovazione
tecnologica e certezza del quadro burocratico rappresentano altri
ambiti di sviluppo.

Riguardo
agli incentivi per le Fer, Barra ha spiegato che è obiettivo del
ministero ridurli, a cominciare da quelli per il fotovoltaico che, ha
sostenuto, «sono i più alti al mondo». Incentivi che «in questi
3-4 anni sono stati molto utili, ma che ora, con oculatezza, possono
essere ridotti in modo che la strada dello sviluppo del fotovoltaico
possa proseguire, pur riducendo l’incentivazione».

Quindi,
da una parte ci avviamo verso il ritorno del nucleare, tecnologia che
finora in nessun paese può essere ritenuta “sostenibile
economicamente” nel vero senso del termine poiché riceve incentivi
pubblici dovunque essa sia adottata, e che quindi sarà sicuramente e
inevitabilmente incentivata da fondi pubblici anche in Italia, se
intrapresa. Dall’altra parte, si discute della riduzione degli
incentivi per fonti energetiche rinnovabili, sostenendo che alcune
(es. il fotovoltaico) sono in grado ormai di camminare sulle proprie
gambe. E dire che, almeno secondo i dati presentati da Paganetto,
attualmente il costo di un Mwh prodotto da rinnovabili è, se
escludiamo l’idroelettrico (75-100 €/Mwh) e il geotermico (80
€/Mwh), molto alto: 140 €/Mwh per l’eolico, da 50 a 140 per il
biogas, 240 per le biomasse, 140 per l’energia da rifiuti e circa
500 €/Mwh per il solare, in media. E con questi costi, e con queste
enormi differenze in termini di concentrazione di energia con le
tecnologie attuali, da molte parti (e soprattutto da parte del
Ministero) si ritiene che gli incentivi siano troppo alti, e vadano
ridotti.

Come
detto, ritorneremo nei prossimi giorni sulle questioni odierne. Per
ora, resta solo una grande perplessità: la sostenibilità economica
dello sviluppo è da considerarsi obiettivo di grande importanza, e
in un’ottica di mercato è giusto anche pensare al momento futuro
in cui davvero il progresso tecnologico e lo sviluppo della
green-economy permetteranno il raggiungimento di rendimenti tali, da
parte delle Fer, che avrà senso parlare di superamento o forte
riduzione degli incentivi ad esse: ma parliamo di un momento futuro,
mentre ad ora il sistema di incentivi ci sembra uno dei capisaldi per
l’affermazione di tecnologie che hanno immensi ambiti di
miglioramento e che si “scontrano” con altre, ben più mature.

Poi,
è vero che gli incentivi non sono la panacea: essi, come ha spiegato
de Paoli, «favoriscono in alcuni casi la rendita a scapito degli
investimenti», ed è condivisibile anche l’appello che Varaldo ha
fatto per orientarli, eventualmente, maggiormente sull’offerta –
cioè sulla produzione – e meno sulla domanda. Interessante, anche
se da discutere, l’auspicio che Malaman ha avanzato per far sì che
gli incentivi gravino non solo sui consumi energetici, ma anche sulla
fiscalità generale.

Ma,
come ha spiegato lo stesso Malaman, «non esistono paesi dove le Fer
non sono incentivate, tranne in alcuni casi l’idroelettrico e poche
altre eccezioni (..), e il sistema degli incentivi è necessario
poichè essi sono “politica pubblica”, permettono lo sviluppo di
tecnologia nuova, e producono esternalità positive in termini di
effetti ambientali», tra cui quelle fondamentali relative al
contrasto al cambiamento climatico in corso.