Home Cosvig SARÀ IL MARE A REGALARCI NUOVE RISORSE

SARÀ IL MARE A REGALARCI NUOVE RISORSE

1011
0
CONDIVIDI
Le onde e le maree principali fonti di energia Ma servono investimenti in studi e ricerche

Fonte: ilpiccolo.it

Autore: GIANPAOLO SARTI

Il mare, che da sempre ispira poeti, letterati e viaggiatori, ha orizzonti ancora inesplorati. Certamente nell’utilizzo come fonte energetica alternativa, un business dalle potenzialità tutt’ora inimmaginabili. Sopra e sotto, con le correnti e le maree di golfi, stretti ed estuari. O gli stessi parchi eolici. Il professor Alessandro Crise è fisico di professione e membro del Consiglio scientifico dell’Istituto nazionale di Oceanografia e Geofisica sperimentale di Trieste. «L’energia del mare è un settore percorribile – spiega – con studi e mappature dettagliate. Maree e correnti sono effettivamente trasformabili prima in energia meccanica e poi elettrica. I costi di utilizzo, trattandosi di impianti non a terra, però al momento sono molto alti e quindi gli investimenti scarseggiano».

«Ma le opportunità future ci sono – osserva lo studioso – soprattutto nelle zone dove si verifica un’intensificazione del moto ondoso: isole, stretti e gole. Vanno studiati il fondo del mare e la sua morfologia, per individuare eventuali punti interessati. Questo ci consegnerebbe una stima realistica sulle potenzialità».

Professore, quali sono le possibilità di impiego del mare come fonte di energia rinnovabile?

«Il mare porta con sé alcuni processi conosciuti e regolari che possono certamente essere usati. Per costruire impianti di produzione energetica, che sfruttino il moto ondoso, va considerata la dinamica degli oceani. Parliamo però innanzitutto della marea, la fonte più abbondante di cui disponiamo. È un’energia che va “catturata” e conservata, ad esempio per far girare le turbine dell’energia elettrica».

Un posto vale l’altro?

«No. Ci sono casi in cui, pur avendo maree apparentemente poco interessanti, si hanno delle intensificazioni dovute al fondo. L’esempio più eclatante, in questo senso, è lo stretto di Messina, in cui entrano in comunicazione due mari che creano correnti fortissime, nell’ordine di sei, sette metri al secondo, quando la velocità standard non va oltre il metro. Lì è stata installata una boa che sfrutta l’energia cinetica e la trasforma in elettrica, in modo da ricavarne un’alimentazione pari a 30 kilowatt capace di soddisfare il fabbisogno di una decina di appartamenti. Il fatto è che la marea ha un comportamento discontinuo, oscillante, non costante».

Quali sono le potenzialità del Mediterraneo?

«In questo caso, purtroppo, siamo mal messi. Per il Mediterraneo il massimo delle marea astronomica si raggiunge nel golfo di Trieste, nell’ordine di un metro. Se però pensiamo alla costa Est americana, abbiamo maree che raggiungono anche i diciotto metri. Una proporzione del genere ci dà immediatamente idea dell’energia effettivamente disponibile».

Per il momento siamo solo a livello di sperimentazioni?

«Sì, siamo in uno step base, di dimostrazione dei prototipi. Le energie rinnovabili di questo genere sono piuttosto onerose, perché le infrastrutture del mare si usurano molto presto, perché è necessario muoversi in barca e perché le manutenzioni costano. Non è un caso che non ci sia ancora molto interesse».

E per le onde?

«Ci sono sistemi costruiti con lunghe tubazioni che intercettano il moto ondoso per trasformarlo prima in energia meccanica e poi elettrica. Ci sono esperimenti interessanti nell’Atlantico, qui da noi meno».

Quali sono le opportunità di sviluppo effettivo?

«Innanzitutto si dovrebbe cominciare da una cernita esatta degli stretti e delle zone in cui le correnti sono più forti del normale, come ad esempio lungo i passaggi tra le isole. O, ancora, una esatta mappatura dei fondi marini, in modo da capire con maggiore esattezza dove possono aumentare le correnti, lì dove si creano forme di intensificazione. Fatto questo, si deve procedere con misurazioni sul posto. Una mappatura delle correnti, del moto ondoso, consentirebbe di verificare i siti di maggior forza e coglierne le opportunità di utilizzo. Un impianto lavora bene sopra una certa velocità di corrente, ma progetti del genere non sono mai stati portati avanti in modo organico».

C’è quindi da investire sullo studio di maree e correnti?

«Sì, sul lungo periodo. Il problema è che gli investimenti sono concentrati su fonti meno costose. Servono quindi soluzioni economicamente più sostenibili per sondare al meglio questo tipo di opportunità. Per il momento siamo a livello sperimentale, ma fuori mercato. Esiste un master all’Università di Plymouth, in Inghilterra che si occupa di ciò. Se una realtà del genere si è concentrata su questo, significa che il settore è sviluppabile».

Si è sentito parlare dei “parchi eolici” in mare, a che punto siamo?

«È vero, c’è un altro uso del mare come sorgente di energia: le pale eoliche in mare, le “wind farm”. Esistono nel Nord Europa, ma da noi ancora no perché ci si scontra con i problemi di investimento e nell’accettazione, da parte dell’immaginario

collettivo. Ma ci sono stati progetti di rilievo inseriti nella programmazione europea, ad esempio per l’abbinamento alle colture e minimizzarne così i costi di gestione. Il vento del mare, infatti, ha una brezza costante che permette un impiego più efficiente».