Home Cosvig Per l’eolico una brusca frenata “Ma a settembre ci sarà la svolta”

Per l’eolico una brusca frenata “Ma a settembre ci sarà la svolta”

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In occasione della giornata del vento promossa dall’Ewea, l’associazione europea dell’energia eolica, e dal Global Wind Energy Council, sono stati diffusi i dati sulla produzione eolica in Italia.

Fonte: La Repubblica – Affari&Finanza

Autore: A.Cianciullo

Il 2011 è l’anno dello stop. Nella corsa verso le fonti rinnovabili l’Italia aveva guadagnato posizioni con una velocità imprevista, dando prova di una straordinaria flessibilità, soprattutto da parte del sistema delle piccole e delle medie imprese. Poi, all’inizio di marzo, il governo ha schiacciato il pedale del freno azzerando il sistema di incentivi che era entrato in funzione a gennaio e che doveva durare 3 anni. E ora si misurano gli effetti.
C’è stato il blocco del settore del fotovoltaico, che ha messo in pericolo più di 100 mila posti di lavoro e che è stato superato con il quarto Conto energia (ma l’effetto di indebolimento sul sistema delle imprese ha lasciato tracce ancora evidenti). E, in occasione della giornata del vento promossa dall’Ewea, l’associazione europea dell’energia eolica, e dal Global Wind Energy Council, sono stati diffusi i dati sulla produzione eolica in Italia.
Nel 2010 la crescita dell’eolico — che procedeva a un ritmo del 30 per cento annuo, in linea con quello dei paesi guida — è diminuita di un quarto scendendo sotto i 1.000 megawatt di nuovi impianti. Una frenata che è diventata ancora più netta nei primi 5 mesi del 2011 che hanno visto la realizzazione di soli 286 megawatt. Il totale dei megawatt eoolici installati in Italia si è fermato così a quota 6.000, a fronte di un potenziale di 16 mila megawatt e di un obiettivo minimo fissato dal governo per il 2020 a 14 mila.
«Da un anno siamo quasi al blocco», spiega Simone Togni, direttore di Anev, l’associazione dei produttori eolici italiani. «E’ una situazione che mette a rischio sia i 20 mila posti di lavoro attuali sia i 67 mila previsti per il 2020. Un trend in clamoroso contrasto con quanto avviene negli Stati Uniti, in Cina e in buona parte dell’Europa, dove siamo stati scavalcati da Gran Bretagna e Francia».
«E’ difficile immaginare una ripresa prima di settembre», aggiunge il senatore Pd Francesco Ferrante, «perché solo a settembre verranno finalmente emanati i decreti attuativi previsti dal decreto Romani del 3 marzo che ha bloccato il settore. A quel punto si capirà come funziona il nuovo meccanismo basato sulle aste al ribasso, si definirà il prezzo minimo sotto il quale non si potrà scendere e, a quel punto, le aziende potranno tornare in banca per ottenere il credito necessario a far partire i cantieri».
Il settore delle rinnovabili è talmente vitale che, una volta definite le regole, c’è da aspettarsi una ripartenza molto rapida. Ma l’incertezza riguarda la capacità di competitività del sistema Italia. Il blocco di vari mesi ha comportato un rallentamento generale, una perdita di occupazione e un indebolimento delle imprese: si tratta di vedere in che condizioni la corsa potrà riprendere e a quale livello di sviluppo saranno arrivati i concorrenti.
Intanto la ricerca procede anche su altri filoni. All’interno della geotermia, il settore più promettente è la cosiddetta bassa entalpia che sfrutta un calore limitato giocando attraverso le pompe di calore sul differenziale rispetto alla temperatura esterna. Può essere utilizzata in edilizia e non ha controindicazioni dal punto di vista della emissione di gas indesiderati. Enel Green Power in Nevada, con la collaborazione del Politecnico di Milano e del Mit di Boston, ha realizzato un impianto prototipo per lo sfruttamento di questo tipo di calore.
Un altro, più originale, filone riguarda la possibilità di utilizzare il calore che viene dai vulcani. Nel Tirreno meridionale è stato messo a punto un progetto per catturare l’energia di un vulcano sommerso, il Marsili. La società Eurbuilding conta di iniziare a trivellare il pozzo pilota nel 2013 usando tecniche mutuate da quelle messe a punto dall’industria petrolifera, con la differenza che in questo caso non si rischia, in caso di incidente, la fuoriuscita di petrolio in mare ma solo la perdita di acqua marina. L’obiettivo è incanalare un’acqua a 300 gradi che viene poi convogliata in una tubatura per alimentare le turbine e generare vapore.
«Vogliamo utilizzare anche in Italia la grande esperienza che abbiamo accumulato in campo di estrazione di petrolio e gas in Norvegia e in campo di vulcani in Islanda», annuncia Fernando De Simone, della Norconsult, un colosso norvegese che impiega 1300 tra ingegneri, architetti e geologi. «Presenteremo una proposta al nuovo sindaco di Napoli per creare una centrale elettrica sul Vesuvio. E’ un impianto che utilizza un anello di binari per spostare turbina e generatore e pozzi di uno o due chilometri per ottenere vapore a 300 gradi. L’investimento può rientrare nell’arco di 18 anni».