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Nel 2030 energia prodotta interamente da rinnovabili? Due ricercatori spiegano come

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L’energia al 2030 potrebbe essere totalmente prodotta con fonti rinnovabili. Lo dicono due ricercatori, rispettivamente Mark Z. Jacobson, ingegnere civile e ambientale presso la Stanford University, e di Mark Delucchi, ricercatore presso l’università della California, in un loro lavoro pubblicato sul numero di novembre della rivista Scientific American.

Fonte: Greenreport.it

Autore: Lucia Venturi

Una tesi che da tempo sostiene anche
Herman Sheer, deputato del parlamento tedesco e presidente di
Eurosolar, che su questo tema ha scritto libri specifici in cui
descrive come sia possibile soddisfare tutti i bisogni energetici
dell’umanità con le energie rinnovabili e come far diventare questo
obiettivo la priorità del secolo, passando da una strategia politica
ad una vera strategia economica.

Uno scenario che in genere viene visto
come una chimera o al più come un obiettivo cui tendere per
diminuire progressivamente la dipendenza dalle pontili fossili, che
rimane -semmai- ancora a livello di abbozzo di strategia politica ma
che non ha certo sfondato invece dal punto di vista di un nuovo
modello economico, dal momento che il modello più in voga per
l’approvvigionamento energetico è invece il mix di fonti, declinato
con diverse percentuali a seconda dei casi.

Anche il pacchetto clima energia
europeo delle tre venti, con obiettivi vincolanti per i paesi
aderenti all’Unione a ventisette, indica l’implementazione delle
energie rinnovabili sino a coprire il 20% del fabbisogno energetico,
a fianco della riduzione del 20% delle emissioni di Co2 ( che
diventeranno il 30% se si raggiungerà un accordo internazionale a
Cophenagen) e il 20% di efficienza energetica, ma per il resto lascia
ai singoli paesi le scelte in campo di energia.

Secondo il lavoro dei due ricercatori
americani “a plan to power 100% of the planet with renewables”
i presupposti da cui partire sono tre, ovvero che le tecnologie
necessarie sono già delineate; che  il costo di generazione e
trasmissione dell’energia rinnovabile diventerà più basso del 
relativo costo dell’energia da combustibili fossili e dal nucleare;
che vi sarà una diminuzione del 30% della domanda globale di
energia, anche per effetto del ricorso cospicuo alle energie
rinnovabili in sostituzione di quelle convenzionali.

Certo mettere in atto un piano come
quello disegnato dai due autori statunitensi comporta un enorme
dispendio economico : almeno 100 trilioni di dollari a livello
globali ammettono gli stessi autori e senza contabilizzare i costi di
trasmissione e quindi delle reti. Ma la cifra non deve scoraggiare
perché come sottolineano gli stessi autori, comunque sono previsti
10 trilioni di dollari  per nuovi impianti a carbone nello
scenario attuale e che bisognerebbe tenere conto dei costi pari 
diverse decine di trilioni di dollari che andrebbero spesi in un
futuro business-as-usual, in salute, ambiente, sicurezza a altre
esternalità.

L’altro problema di questo piano è il
fatto che presuppone un grande impegno (oltre la volontà) da parte
dei governi, che dovrebbero eliminare ogni forma di sussidio alle
energie da fonti fossili e mettere in campo programmi d’incentivi
alle energie rinnovabili per  coprire la differenza tra i costi
di generazione e i prezzi dell’elettricità.

Così come si dovrebbero  tassare
i carburanti fossili in modo da internalizzare i costi ambientali che
il loro usa determina, trasformare gran parte del parco auto
circolante da carburanti fossili a veicoli aelettrici. E infine
sarebbe necessario- come già emerge del resto- investire in
un’adeguata ed efficiente rete di distribuzione dell’energia, tarata
sul sistema smart greed .

Lo studio parte dalla stima che il
fabbisogno energetico del pianeta ammonterà al 2030 a 16,9 Tw,
rispetto agli attuali 12,5. Una cifra che potrebbe scendere a 11,5 se
si utilizzassero solo energie rinnovabili, dal momento che si avrebbe
un incredibile aumento dell’efficienza dovuto al fatto che la
produzione diretta di elettricità è assai più efficiente di quella
ottenuta attraverso una combustione.

L’esempio utilizzato per rendere
comprensibile questa affermazione è quello delle auto elettriche
rispetto alla auto a motore convenzionale: solo una parte (17-20%)
del carburante è usato per muovere un’autovettura mentre il resto
viene dissipato come calore, mentre in un veicolo elettrico dal 75
all’86% dell’elettricità fornita si trasforma in moto.

Per coprire questo fabbisogno il mix
proposto dai due autori consiste nell’uso del  51%
di energia eolica, il 40% solare e
il 9% dalla risorsa idrica (compresa la geotermica).

Che significa secondo Jacobson e
Delucchi che sarebbe necessario installare 3,8 milioni di
nuove turbine eoliche, 89 mila impianti solari fotovoltaici

o impianti solari a concentrazione con potenza installata di 300 MW
l’uno (attualmente ne esiste meno dell’1%), e inoltre 490 mila
turbine sottomarine, 5350 impianti geotermici e 900 centrali
idroelettriche.

C’è poi un altro grande scoglio,
ammesso di aver superato il problema della volontà politica, che si
troverebbe di fronte uno scenario come quello prefigurato che è dato
dalla scarsità dei metalli necessari a costruire le celle
fotovoltaiche, tutti materiali che oltretutto sono rari e che si
trovano principalmente nei paesi asiatici  : il silicio, il
tellururo di cadmio, il gallio, l’indio,  il selenio. Così come
per il litio delle batterie delle auto elettriche, il platino delle
celle a combustibile e il neodimio per le turbine eoliche.

Ma i due autori non si abbattono e in
attesa di trovare soluzioni per mettere in pratica il primo scenario
al 100% di rinnovabili al 2030, ne hanno pronto un altro, più
realistico, che  prevede di raggiungere il totale ricorso alle
rinnovabili al 2040 con un primo step del  25% di
energia da fonti rinnovabili entro il 2025
.

Quindi «con politiche sensibili-
sostengono i ricercatori americani- il 25% dell’attuale capacità dei
combustibili fossili potrà essere rimpiazzata in 10-15 anni e si
potrà raggiungere il 100% di sostituzione in 20-30 anni, obiettivo
che sarebbe raggiungibile con politiche estremamente  aggressive
nello stesso arco di tempo e che invece con politiche più caute si
potrà ottenere solo nell’arco di 40-50 anni».