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Geotermia: l’analisi del ciclo di vita degli impianti come antidoto alle paure percepite

Il progetto europeo GEOENVI protagonista al Forum QualEnergia di Legambiente, con gli interventi di Loredana Torsello e Maria Laura Parisi nella sessione curata da CoSviG

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Il progetto europeo GEOENVI protagonista al Forum QualEnergia di Legambiente, con gli interventi di Loredana Torsello e Maria Laura Parisi nella sessione curata da CoSviG


Nonostante le tecnologie geotermiche siano nate (in Toscana) oltre due secoli fa, la geotermia rappresenta ancora oggi una fonte rinnovabile poco conosciuta.

E ciò che non si conosce finisce, spesso, per incutere un timore non sempre giustificato.

Non a caso recentemente la produzione di energia geotermica sconta in alcune regioni europee una percezione negativa da parte delle popolazioni locali e di alcuni decisori politici, anche a causa di un dibattito sui media che tende a sottolineare gli impatti più che i benefici legati all’uso di questa fonte rinnovabile: le preoccupazioni sono, infatti, spesso legate alle performance ambientali degli impianti, per cui si rende necessaria una verifica attraverso metodi robusti, scientifici e universalmente riconosciuti.

Esattamente quanto si propone di fare GEOENVI, un progetto di ricerca internazionale finanziato nell’ambito del programma UE Horizon 2020, protagonista nel corso del XII Forum QualEnergia – organizzato a Roma da Legambiente insieme all’editoriale Nuova Ecologia e al Kyoto Club – durante una sessione curata dal CoSviG (il Consorzio per lo Sviluppo delle Aree Geotermiche) sul tema “La valutazione e il monitoraggio degli impatti ambientali legati all’utilizzo di risorse geotermiche profonde: metodologie scientifiche e falsi miti”.

«L’idea di fondo – spiega Loredana Torsello, dirigente CoSviG e referente italiano per il SET Plan IWG DeepGeothermal – è che la geotermia può giocare un ruolo molto importante nel mix energetico europeo, ma ciò non toglie che debbano esserne valutati gli impatti, fornendo in questo modo anche indicazioni sulle tecnologie che possono essere adottate e quindi orientando l’innovazione e il processo di ricerca».

Lanciato nel novembre 2018, l’obiettivo principale di GEOENVI è, dunque, «cercare di affrontare le preoccupazioni ambientali legate all’utilizzo dell’energia geotermica in Europa, distinguendo gli impatti ambientali percepiti, che sfociano spesso nella sindrome Nimby, (Not in my backyard, Non nel mio cortile; ndr) da quelli realmente associabili all’intero ciclo di vita degli impianti che utilizzano la geotermia».

Come? Sviluppando «linee guida armonizzate per condurre la valutazione del ciclo di vita (LCA) e la valutazione dell’impatto ambientale, attraverso l’utilizzo dei dati di casi studi di diversi Paesi europei».

Al fine di poter dare un quadro affidabile e confrontabile, che tenga conto della sito-specificità della geotermia oltre che dei differenti contesti socio-economici, il progetto si focalizza su molti tipi di impianti esistenti o in fase di realizzazione, oltre che in Italia – con le centrali Bagnore 3 e 4 e il progetto della centrale di Montecastelli Pisano –, in Islanda, Francia, Turchia, Belgio e Ungheria.

Al contrario della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), che fornisce una visione parziale – si focalizza ad esempio solo su alcune fasi del ciclo di vita –, l’LCA permette un approccio più ampio e oggettivo al problema, come riconosciuto anche dalla Commissione Ue.

«La metodologia LCA – dettaglia Maria Laura Parisi, assistant professor all’Università di Siena ed esperta di settore – rappresenta un metodo analitico standardizzato che consente di calcolare, analizzare e confrontare tutti gli impatti che vengono generati lungo il ciclo di vita di un prodotto, processo, e anche un sistema energetico, permettendo di identificare tutti gli impatti in modo olistico e dunque i punti critici».

Posto dunque che l’unica energia pulita al 100% è quella che non viene usata, «questo approccio standardizzato – continua Parisi – consentirà di calcolare le impronte ambientali dei diversi sistemi geotermici e di poter confrontare su una base solida e scientificamente validata gli impatti legati allo sfruttamento dell’energia geotermica rispetto gli impatti legati all’impiego di altre risorse, rinnovabili e non».

Per avere un’idea dei risultati ottenibili è stato pubblicato pochi mesi fa uno studio – di cui Torsello e Parisi sono co-autrici – dedicato a «un’analisi LCA sulla fase operative di tutte le centrali geotermiche toscane. Abbiamo testato – argomenta Parisi – quelli che potevano essere gli approcci più solidi per calcolare le impronte ambientali delle diverse aree geotermiche toscane. Questo consente di capire dove si può intervenire per poter ridurre l’impronta, e fino a dove esiste un trade-off accettabile affinché l’intervento sia ancora compatibile con le performance di un impianto industriale che naturalmente intende mantenere una certa efficienza».

«Noi speriamo che l’LCA possa aiutare fornendo dei dati che siano meno soggettivi possibili – conclude Torsello – C’è una crescente difficoltà da parte del cittadino nel distinguere tra quelle che sono le scelte migliori, perché non è facile capire qual è l’affidabilità dell’informazione che arriva in merito ai reali impatti e benefici della geotermia, e questo sostanzialmente si traduce in approccio basato su percezioni distorte. Strumenti migliori per leggere i dati e discriminare tra le informazioni che arrivano dovrebbero aiutare a pulire il campo da un po’ di sindrome Nimby con cui invece oggi facciamo i conti. GEOENVI è orientato a quest’obiettivo: aiutare a distinguere meglio ciò che è concreto dalle paure percepite».


DOCUMENTI

La valutazione e il monitoraggio degli impatti ambientali legati all’utilizzo di risorse geotermiche profonde: metodologie scientifiche e falsi miti