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Geotermia e danno allarmistico

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L’ingegner Prinzi, ingegnere energista, parla dei timori indotti

Fonte: Il Cittadino OnLine.it

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Mi sono trovato a portare il saluto del professor Vincenzo Pepe, Presidente Nazionale di FareAmbiente, ad un convegno sulla Geotermia, svoltosi a Terni, al quale partecipavo come “attore non protagonista” nel senso di esperto non relatore, ma invitato a discutere con il nome in locandina.
La prima cosa che ho fatto notare è stata la non proprietà di linguaggio, non certo per una sorta di complesso da “accademico della crusca”, ma perché definizioni improprie inducono nell’opinione pubblica ingiustificati timori e conseguenti reazioni negative. Ad esempio, l’introspezione alla ricerca di nuovi pozzi di idrocarburi si effettua posizionando opportuni sensibili sensori e facendo brillare una carica esplosiva; dall’analisi delle vibrazioni e dal loro modo di propagarsi si realizza una mappatura del sottosuolo e, se presenti, si individuano probabili giacimenti di idrocarburi.
Questa tecnica di sensori multipli concentrati viene applicata per monitorare la frantumazione delle rocce nei “sistemi geotermici migliorati”, indicati come Egs, acronimo dall’inglese Enhanced geothermal systems, bacini caldi di rocce compatte e con scarse fessurazioni, che vengono frantumati con insufflazioni in pressione di acqua fredda che induce la loro frattura fragile, alla stregua di un riversamento di acqua fredda in un recipiente caldo di vetro. Una tecnica per ricavare “ruspanti” portavasi da bottiglie di vetro è quella di riempire sino al livello del taglio la bottiglia di acqua fredda e rabboccare con uno strato d’olio, ad esempio olio lubrificante esausto, che quando eravamo ragazzi ci procuravamo gratis e senza gli attuali obblighi di smaltimento. Un ferro rovente immerso nello strato di olio per scaldarlo e un taglio netto con un piccolo bang sonoro dovuto al rilascio di energia elastica a seguito della frattura fragile. Così nascevano le vocazioni a diventare ingegneri.
L’osservazione visiva ed acustica ci consentiva di monitorare il risultato; per un bacino profondo l’osservazione può essere solo strumentale e gli effetti venire monitorati attraverso le vibrazioni che il rilascio di energia elastica a seguito di frattura fragile induce nel mezzo circostante. Sono vibrazioni nel mezzo solido, come il bang della bottiglia tagliata di netto sono vibrazioni nel mezzo aereo. Non è corretto, come facevo notare a più relatori peraltro attivamente impegnati nel campo e fervidi sostenitori dello sfruttamento industriale della geotermia, parlare di microsismi per molteplici ragioni. La prima perché l’energia elastica che si libera è irrisoria e rilevabile solo con una fitta e concentrata rete di sensibilissimi sensori, la seconda è che i terremoti hanno cause complesse che solo di recente cominciano a venire spiegate con teorie nuove unificanti che legano tra loro i diversi fenomeni geofisici, quali il vulcanesimo, il vulcanesimo secondario in cui rientra la geotermia, e persino il clima e le sue mutazioni. Sono teorie formulate a partire dagli Anni Settanta a seguito delle osservazioni delle sonde spaziali “Pioner”, che in Italia hanno trovato applicazione nella valutazione del rischio Vesuvio. Per brevità richiamo chi fosse interessato al seguente relativamente recente articolo pubblicato su “Agenzia Radicale”, scaricabile dalla pagina web http://www.agenziaradicale.com/archivio/index.php?option=com_content&task=view&id=1282&Itemid=50.
Perché questa pedanteria da “accademico della crusca”? Perché parlare di microsismi, peraltro assenti nella geotermia classica che non prevede frantumazione preventiva del corpo roccioso, ingenera timori infondati nelle popolazioni. Stesso effetto deleterio viene ingenerato dalla strumentale esasperazioni di dati statistici, peraltro non univocamente accettati e ritenuti attendibili, di impatto delle attività geotermiche sulla salute umana. Questi allarmismi che attribuiscono effetti persino a progetti solo pianificati e non ancora messi in esecuzione finiscono con il “diffamare” intere aree che solo per essere interessate da fenomeni di vulcanesimo secondario appaiono all’opinione pubblica, tanto più emotiva quanto meno competente, come una sorta di “terre dei fuochi” al naturale dalle quali per un mal inteso principio di precauzione tenersi alla larga.
Grande responsabilità ha al riguardo certo ecoambientalismo catastrofista, che cerca di fare leva su aspetti emotivi senza alcun esame critico, razionale e scientifico. In alcune zone d’Italia, nello specifico del Settentrione, sono stati reiterati allarmi per selvaggina, spesso cinghiali, contaminati, per prodotti della terra, quali funghi e frutti di bosco pericolosi alla salute per avere assorbito sostanze nocive. Il monitoraggio successivo a tali allarmi, peraltro documentati con reperti, ha dato sempre esito negativo. Alcuni sindaci si sono spinti a richiedere controlli a tappeto su alimenti fondamentali quali latte ed ortaggi prodotti nella zone di provenienza dei reperti contaminati. Gli esiti si sono rilevati negativi, ma questo non sopisce i timori con danni alle economie locali, soprattutto a quelle rurali.
Come dimostra il recente caso dell’acqua all’arsenico erogata a cinquecento utenze romane, certi inconvenienti si verificano in zone rurali interessate da fenomeni di vulcanesimo secondario, in relazione a pozzi “ruspanti” e vecchie condotte con inclusioni di amianto. Si tratta di fenomeni limitati, che comunque spaventano il pubblico e creano diffidenza proprio verso le opzioni più legate ad un rapporto diretto con la natura, in particolare verso il turismo rurale che rappresenta una soluzione economica compatibile di imprenditoria a basso impatto ambientale.
Per questo ho ritenuto opportuno mettere mano alla tastiera ed invitare al senso di responsabilità ed alla razionale verifica di certi paventati rischi. Certo, le pianificate attività industriali impongono controlli e misure adeguati ed efficienti, ma il dipingere terre amene, sia pure caratterizzate da fenomeni di vulcanesimo secondario, come potenziali mortifere “terre dei fuochi” ha un effetto boomerang pericolosissimo che può ritorcersi, più che sullo sfruttamento industriale delle risorse geotermiche, gestite da tecnici qualificati con controlli e garanzie da parte delle Agenzie preposte, contro quell’economia rurale tradizionale e contro la produzione agricola e pastorale destinata al consumo alimentare, nonché nei confronti di quelle forme di turismo rurale che fanno leva proprio sul rapporto diretto con la natura e sulla genuinità e salubrità dei suoi prodotti che allarmismi a volte solo strumentali “diffamano” e danneggiano.

Giorgio Prinzi – ingegnere energista