Home Cosvig Economia, Valdicecina: Nella fabbrica dove nasce il sale più puro

Economia, Valdicecina: Nella fabbrica dove nasce il sale più puro

752
0
CONDIVIDI
Un Luogo, Una storia: “Saline di Volterra”

Fonte: Il Tirreno, Cronaca di Livorno

Autore: Andreas Quirici

Una cascata bianca, luccicante si posa sul grande pavimento in tavole di legno. Uno spettacolo della natura che diventa industria e che attraversa la storia di un piccolo paese a tanti chilometri da tutto. Ma che è l’emblema di una Toscana remota che continua a non volersi arrendere all’oblio.

E così, l’apertura straordinaria dell’azienda dove si produce “il sale più puro in assoluto” a Saline di Volterra, oltre a essere uno dei 150 appuntamenti della Festa della Toscana itinerante, voluta dal presidente del consiglio regionale Eugenio Giani, diventa l’occasione di un viaggio nel tempo che spazia dal 1789, quando venne aperto lo stabilimento al 2020, anno in cui l’attuale proprietà punta a ottenere una produzione in linea con le potenzialità della fabbrica. Già, perché quella che per anni ha rappresentato un polmone occupazionale per il Volterrano, ma soprattutto una realtà unica per la produzione del sale, è un’azienda viva e vegeta, dove non lavorano più i 501 dipendenti del 1951 o i circa 300 degli anni Settanta. Alla Salina, oggi di proprietà della famiglia bresciana Locatelli, ci sono 37 dipendenti. Ma il fascino della salamoia estratta nei 1.700 ettari di coltivazione gestita dalla Solvay, che viene trasformata in sale industriale e alimentare, resta intatto.

E l’immagine simbolo della storica fabbrica è tutta in quella cascata di sale che, trasportato dal nastro-galleria, dall’alto cade nel magazzino realizzato dall’architetto Pier Luigi Nervi negli anni Sessanta, creando una montagna alta anche quindici metri, adagiata sul pavimento in legno, «l’unico materiale che resiste al sale», spiega il vice direttore Alessandro Del Viva che, insieme al consulente Maurizio Lenzi accompagna i visitatori nel giro della salina. Un’occasione unica, organizzata dalla Feisct, la federazione che promuove il turismo culturale e sostenibile in Toscana dalla Via Francigena alle Vie del Sale. Ospite d’onore proprio Eugenio Giani che racconta di «una Toscana da valorizzare, quella che ha reso importante la nostra regione. Come il Volterrano che deve tornare al centro delle politiche di un territorio ricco di storia e pieno di futuro». Parole spese sapientemente in una valle immersa nel verde che dal colle etrusco guarda al mare della costa cecinese. Un passato fatto di massacranti lavorazioni a mano soppiantate poi dall’automazione. Ma soprattutto dall’appartenenza ai Monopoli di Stato che hanno garantito benessere e ricchezza per tanti anni. «In tempo di guerra qui arrivavano da tutte le parti – racconta lo storico del paese Giovanni Albertini – Dalla Garfagnana, ma anche dall’Umbria e dall’Emilia Romagna. Era l’unico posto dove si trovava il sale e chi veniva a Saline portava altra merce, per uno scambio di generi alimentari fondamentale per le famiglie dell’epoca». È lui che sciorina aneddoti di una fabbrica attorno a cui è cresciuto il paese, con tante famiglie di Volterra che scesero a valle per lavorare alla salina e costruire case che poi sarebbero diventate il paese. «Un po’ come nel Far West», dice, raccontando poi della ferrovia che arrivò a Saline nel 1866 «proprio per via della presenza di questa fabbrica». E condendo il tutto con la “vertenza sindacale” del 1955 che vide protagoniste 85 donne addette al confezionamento del sale. «Con l’arrivo di un macchinario apposito dalla Germania dovettero andare a lavorare alle tabaccaie dei Monopoli a Lucca e Firenze – dice lo storico – I partiti di allora riuscirono a far ottenere loro un contratto di assunzione stabile. E, dopo dieci anni di grandi sacrifici, rientrarono a Saline».

Storie di vita che non esistono più. Come il legame con i Monopoli, interrotto nel 1973 con la privatizzazione che ha portato al declino lento e inesorabile a cui questa terra non vuole arrendersi. E che si aggrappa alla famiglia Locatelli per dare un futuro alla sua fabbrica simbolo. Un’azienda che sta cercando di ammodernarsi con investimenti e l’aiuto della Regione. Una somiglianza marcata con l’orologio del paese che risale al 1818 e che funziona benissimo. Ma deve essere caricato tutti i giorni a mano. Gioielli splendidi di una Toscana remota che costano fatica far funzionare.