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E se usassimo la CO2 per produrre energia geotermica?

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Pompare la CO2 nel sottosuolo non solo per disinnescare la minaccia che rappresenta per il clima e l’ambiente. Ma anche per produrre energia geotermica.

Fonte: ZeroEmission TV

Autore: ZeroEmission TV

A questo scopo il
governo federale americano, dei 338 milioni di dollari destinati alla
ricerca per lo sviluppo della geotermia, ne ha assegnati 16 milioni a 9 progetti condotti dal Lawrence Berkeley National Laboratory e altre università e centri di ricerca, che testeranno il potenziale della cattura e stoccaggio della CO2 nella produzione di elettricità dal calore della terra.
L’idea
è in sostanza di sparare l’anidride carbonica nel sottosuolo a
chilometri di profondità, come nel caso delle normali tecnologie CCS.
Ma siccome, la temperatura aumenta in maniera proporzionale alla
profondità riscaldando la CO2, si pensa di sfruttare questo calore per
trasformarlo in energia elettrica.

Questo metodo, sostengono alcuni, sarebbe addirittura più efficiente di quelli basati sui classici fluidi geotermici.
E avrebbe il notevole vantaggio di eliminare la CO2 due volte: quella
catturata dalle centrali a carbone, e quella potenziale evitata grazie
alla produzione di elettricità pulita.

In realtà, non si tratta di un’idea nuovissima.
Questo concept è stato proposto per la prima volta proprio per
migliorare l’approvvigionamento di calore dal sottosuolo negli impianti
geotermici. Il problema principale di questi sistemi è infatti rompere
le rocce calde in profondità acqua per poi portare l’acqua riscaldata
in superficie.
Nel 2000 i
ricercatori del Los Alamos National Laboratory, proposero di utilizzare
al posto dell’acqua o in combinazione con essa, la CO2 in condizione supercritica,
ovvero pressurizzata, in parte gassosa e in parte liquida. Il suo
vantaggio consiste nell’essere meno viscosa e più fluida dell’acqua, e
dunque, in generale, di evitare di fratturare le rocce risultando al
tempo stesso una soluzione più efficiente che consente di ridurre le
perdite di calore.

La vera
novità consiste non tanto nell’utilizzare la CO2 nei sistemi
geotermici, quanto nello sfruttare il potenziale geotermico della
cattura e stoccaggio della CO2. Si tratterebbe, in pratica, di rendere ancora più vantaggiosi gli impianti CCS,
non solo da un punto di vista ambientale, ma anche economico in quanto
consentirebbero, ad esempio, di sfruttare vecchi giacimenti di petrolio
o di gas, senza dover ricorrere ad altre perforazioni.

La
tecnologia non è mai stata sperimentata finora. Si tratta di un
concept, appunto. Anche perché gli studiosi non conoscono ancora a
fondo il comportamento della CO2 supercritica ad alte profondità nei
giacimenti di idrocarburi esausti oppure a contatto con l’acqua negli
acquiferi salini, serbatoi considerati adatti al confinamento geologico
permanente dell’anidride carbonica. Gli studi finanziati del Doe
cercheranno di appurarlo con l’obiettivo di lanciare i primi progetti
sperimentali entro i prossimi tre anni. Per approfondire.