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Bolletta elettrica, meno sussidi più sconti

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Il Governo sta limando il provvedimento per ridurre, come promesso, i costi dell’elettricità a carico delle piccole e medie imprese

Fonte: Il Sole 24 Ore

Autore: Federico Rendina

Ancora ostacoli, forse i più duri nelle ultime limature del decreto competitività, per le misure che dovrebbero attenuare i costi finali dell’energia riequilibrando innanzitutto il sistema dei sussidi. Tramonta definitivamente la soluzione dei bond o della cartolarizzazione per attutire il peso della componente A3 sulle bollette elettriche e liberare così le risorse per alleggerire del 10%, come ha promesso il Governo, i costi dell’elettricità a carico delle piccole e medie imprese, innescando un circuito virtuoso capace di generare risparmi anche per le altre fasce di consumatori. Rimane invece in piedi, ma con molti problemi di confezione, l’idea di spalmare su un tempo più lungo, da 20 a 25 anni, gli incentivi concessi ai produttori di elettricità fotovoltaica sulla base dei vecchi e assai generosi "conti energia" che hanno chiuso i battenti dopo cinque edizioni garantendo però un’ulteriore elargizione ventennale.
Missione oggettivamente complicata e insidiosa quella che vede i tecnici dei ministeri dell’Economia e dello Sviluppo economico ancora al lavoro in queste ore. L’alchimia ipotizzata per assicurare il tesoretto da un miliardo e mezzo di euro l’anno necessario per lo sgravio promesso alle piccole imprese sta perdendo, strada facendo, importanti pezzi.
Nel frattempo rischia di presentarsi all’appello, tanto per complicare ulteriormente la missione, un convitato di pietra pronto a presentare un conto altrettanto salato: il cosiddetto capacity payment, ovvero la garanzia di copertura dei costi promessa alle grandi centrali termoelettriche, sempre meno remunerative, in nome del loro ruolo di riserva e di bilanciamento per la sicurezza del sistema elettrico nazionale.
Se il capacity payment dovesse prendere una forma operativa il suo conto sarebbe pesante, sino a comportare un ulteriore aggravio sul sistema elettrico per alcune centinaia di milioni di euro l’anno. Invece di rimediare il miliardo e mezzo necessario ad alleggerire le bollette delle imprese rischiamo di trovarci con un ulteriore sussidio, seppur necessario, da finanziare? Lo scenario, davvero problematico, non è da escludere. E vale da sprone, a maggior ragione, per il lavoro di chi sta confezionando la spinosa parte energetica della manovra a cui si stanno dando gli ultimi aggiustamenti.
Bond no. Cartolarizzazione no. E anche il cosiddetto "spalma-incentivi", se fosse rigidamente obbligatorio e non un’opzione data agli operatori in cambio di qualche facilitazione, ha non poche difficoltà di carburazione. Configurerebbe infatti, qualunque fosse l’articolazione, una manovra retroattiva esposta a una doppia incognita: l’ondata di ricorsi già minacciati a gran voce delle associazioni dei produttori di energia fotovoltaica; il danno di immagine verso gli investitori delle rinnovabili italiane, in buona parte esteri.
L’esigenza di evitare il pericolo di un ulteriore freno all’attrattività degli investimenti nel nostro paese pare abbia sollevato un fermo altolà, nelle ultime ore, anche da parte dei tecnici del ministero dell’Economia, e non solo di quelli dello Sviluppo. E affiorano ulteriori soluzioni alternative. Tra esse una diversa alchimia dell’intervento per finanziare il miliardo e mezzo necessario allo sgravio da garantire alle Pmi che riprende alcune delle idee già messe nero su bianco dal ministero dello Sviluppo nelle scorse settimane, ma con un diverso mix.
Torna così a farsi largo l’ipotesi di eliminare molti dei sussidi collaterali che caratterizzano la componente A3 della bolletta elettrica (oneri di sistema): dagli sconti al Vaticano a parte delle agevolazioni concesse ad esempio alle ferrovie dello Stato, fino all’eliminazione sin dal prossimo mese delle agevolazioni tariffarie garantite ancora oggi ai dipendenti delle società elettriche.
Basterà? Sicuramente no, mormorano i tecnici del Tesoro. Che stanno ipotizzando un concorso della fiscalità generale per almeno 300-400 milioni alla manovra da 1 miliardo e mezzo l’anno. Con quali risorse, o meglio con quali ulteriori partite di giro, proprio non si sa.